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domenica 17 gennaio 2016

Hawkdope Black Rainbows (HeavyPsych SoundsRecords 2016)













Molti non sanno che in Italia esiste una scena stoner ben radicata, ma relegata ad una nicchia di fans fedeli che affollano i pochi concerti di bands aihme sconosciute, ma estremamente valide. La curiosità mi ha portato mesi fa a presenziare ad un torrido concerto dei romani Black Rainbows, solida realtà  che spesso si imbarca in lunghi tour e presenzia ai maggiori festival stoner europei.
Non conoscevo nulla di questa band, ma alla fine del loro show sono corso ad accaparrarmi il vinile di Hawkdope,  ultima fatica discografica di una carriera che vede quattro album e svariati split album con altre bands della scena.
Le coordinate musicali sono la devozione ad un certo tipo di space-rock e al granitico hard rock anni Settanta: Black Sabbath, Hawkwind fino a Monster Magnet e Fu Manchu, epigoni della decade di rinascita stoner per eccellenza: gli Anni Novanta. Ma Hawkdope è molto di più, sono quaranta minuti di torrido rock and roll, fatto di polvere, groove e atmosfere sospese che poggia su riff che sembrano macigni, una sezione ritmica pulsante ed un sound saturo di fuzz e distorsione.
L'iniziale The Prophet è una mazzata tra capo e collo e come biglietto da visita non poteva esserci miglior inizio, cosi come la successiva Wolf Eyes, a metà tra i già citati Monster Magnet e i Mudhoney più acidi.
La title track è il primo episodio che da respiro al disco,un sound che poggia su arpeggi iniziali e porta la mente a vagare verso territori infiniti, spazi siderali che avrebbero fatto la gioia degli Hawkwind: otto minuti di puro godimento dove la mente è libera di espandersi e perdersi nei suoni della band romana.
Parafrasando il titolo di un pezzo presente in questo disco "Hypnotize my Soul with Rock and Roll", questo Hawkdope tiene inchiodato l'ascoltatore allo stereo, è talmente affascinante che ad ogni ascolto si percepisce qualche sfumatura nuova, senza perdere di vista il tiro ed il groove che hanno alcune canzoni (le sopracitate The Prophet e Wof Eyes come JesusJudge e Killer Killer Fuzz), cosi come il finale di Cosmic Pricker è lo zenit assoluto di questo album: quasi sette minuti di intensa composizione che parte lenta e sognante e piano piano cresce fino ad esplodere in un tripudio chitarristico di pregevole e trascinante bellezza.
In Europa hanno visto lungo ed i Black Rainbows sono una realtà ben radicata nel circuito stoner ed è un peccato che in Italia non abbiano ancora ricevuto il consenso che meritano.
Torrida Arte allo stato puro!!!
Black Rainbows Official Site
https://www.facebook.com/BLACKRAINBOWSROCK/
Hawkdope Spotify

domenica 3 maggio 2015

Sick Tales Sick Boys Revue (AreaPirata Records 2015)













Primo full lenght per i Sick Boys Revue, band toscana conosciuta in precedenza semplicemente come Sick Boys, di cui avevo parlato in occasione del loro promo autoprodotto risalente a tre anni fa.
La loro proposta musicale ha destato l'attenzione di AreaPirata Records, label italiana specializzata in rock and roll/garage e, grazie anche alla sapiente e furbesca mano di Lester Greenowski alla consolle, ecco tra le mani il loro debut officiale che si snoda in undici tracce di onesto e ruspante punk 'n'roll.
Rispetto al demo ( di cui sono sopravvissute due tracce: Lovin'me e Contradictions of my Town) la proposta musicale dei SBR ha maggior coesione e tiro, così come l'attitudine stradaiola è stata accentuata, senza però snaturare il loro sound, debitore al 100%  di Mike Ness e dei suoi Social Distorsion ( anche la cover che li vede in versione "gangsta" anni Trenta è un palese tributo), ma che riesce a reggersi sulle proprie gambe grazie alla vitalità e ad alcune melodie davvero imprescindibili.
Ecco quindi l'iniziale Sick Boys Play Rock and Roll, dichiarazione di guerra che mi ha fatto sobbalzare e suonare la mia "air guitar" alla soglia dei quarant'anni, oppure la melodica By My Side, uno degli highlight assoluti di questo album, assolutamente "Nessiana" nel cuore e nello spirito.
Cercate la ballatona dal mood nostalgico del loser impenitente? Ecco servita Becomin' Myself con tanto di armonica ad impreziosire il tutto.
Ad ogni modo non c'è solo Social Distorsion qui dentro, ma anche tanto punk '77, potente e squadrato come nei primi due dischi dei Clash ed allora è d'obbligo ascoltare People Call Me Sick e Panem et Circenses, mentre in People Can't Change scopro un'inedita sfaccetatura dei Sick Boys Revue, ovvero quella di "simpatizzanti per il diavolo" con tanto di coretti e melodie alla Jagger/Richards.
Una proposta onesta e sincera per una band che non ha mai nascosto le proprie origini ed anzi, le continua a sbandierare con orgoglio, perchè il rock and roll non è moda , ma una passione che ti nasce dentro e te la porti fino alla tomba. Ben vengano band come i SBR che hannovoglia di sbattersi ancora e macinare riff e chilometri per la giusta causa!
Continuate così ragazzi e che la benedizione di Mike Ness discenda su di voi e vi protegga sempre!Amen!
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SBR Bandcamp

martedì 24 marzo 2015

Bandit from Border EP Mosche di Velluto Grigio (autoprodotto 2015)

Davvero instancabili e prolifiche queste Mosche di Velluto Grigio,agguerrita band lombarda, che nel giro di un anno ha pubblicato un album e un singolo natalizio, ed ora ci delizia il palato con questo EP semiacustico, dove, liberatisi da distorsioni ed orpelli elettrici, danno sfoggio della loro espressione più calda ed intima confezionando cinque brani di pregevole fattura.
Se i punti di riferimento sono sempre stati il combat punk di Clash o Stiff Little Fingers ed il folk di Pogues e Dubliners ( senza dimenticare una vena cantautorale di tradizione italiana), ora la loro ispirazione vola fino alle lande sperdute americane, quelle desolate terre di confine, teatri di conflitti sociali e miserie che hanno ispirato i più grandi cantautori d'oltreoceano e , quando ascolterete l'iniziale No More Work, non stupitevi se vedrete materializzarsi il "fantasma" di Tom Joad, perchè è proprio  li che le Mosche, con questo nuovo capitolo della loro discografia vogliono trasportarvi.
Springsteen, Steve Earle, Woody Guthrie e Ryan Bingham, sono questi i primi nomi che mi vengono in mente ascoltando queste tracce, cosi scarne, ma tanto intense, grazie ad un songwriting sempre più maturo, ad una voce calda e a quell'arma in più che è il sassofono, ormai marchio di fabbrica della band, che, oltre a rendere la loro proposta originale, conferisce dei toni crepuscolari alle canzoni, rendendole intense e vibranti come un tramonto sul Grand Canyon.
L'ennesima gemma ci viene regalata con Far from Home (grandparent's home), malinconica e struggente, con l'unica concessione elettrica data dall'assolo di chitarra come ciliegina sulla torta: l'ennesima perla nella discografia di questa band che  da il commiato con Witch of the Day at the End of His World che sembra uscita dalla penna e dalla chitarra di Ryan Bingham.
Un'altra grande prova per questa band, che riesce sempre a reinventare il suo stile, regalando miriadi di sfaccettature alla sua proposta  senza snaturarla o porre limiti alle influenze musicali.
Ed il viaggio prosegue, dalle scogliere di Scozia ed Irlanda fino alle sconfinate terre di frontiera americana!
www.moschedivellutogrigio.com
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sabato 3 gennaio 2015

Stavolta Come Mi Ammazzerai? Edda (Niegazowana Records 2014)













"Vaffanculo, è bellissima!"  E' l'esclamazione tra il commosso ed il divertito di Stefano Rampoldi, in arte Edda, alla fine dell'intensa esecuzione di Stellina e rispecchia fedelmente la spontaneità e la voglia di fare che permeano questo terzo album della carriera solista dell'ex cantante dei Ritmo Tribale.
Stavolta Come Mi Ammazzerai. citazione colta da una battuta di un film noir Anni Settanta, è l'apice della nuovo cammino musicale di Edda, un titolo crudo e spietato che fa da contraltare alla candida immagine famigliare del cantante milanese messa in copertina ed è il continuum di quella ricerca interiore che lo ha portato a mettere i propri sentimenti e le proprie angosce a nudo  iniziata nel 2009 con il suo ritorno sulle scene.
In questo lavoro non si pone limiti e va diretto al punto, toccando tasti emotivi profondi come gli affetti famigliari, pilastri fondamentali che possono diventare opprimenti. Ecco quindi la rabbiosa Pater rivolta ad un padre assente e Mater rivolta ad una madre troppo attaccata che non ha mai saputo capire il figlio. Un fratello distante ed una sorella morta prematuramente dipingono il quadro di Coniglio Rosa, anche se alla fine Stefano, nonostante la sua "famiglia di dannati" dichiara che "i Rampoldi li ha sempre amati".
Diciassette canzoni, un disco lungo, estremamente eterogeneo che riporta Edda dove aveva chiuso anni fa: la musica rock, intesa nel suo modo più semplice e basilare, ovvero basso-batteria-chitarra e poi la  voce, la sua, tornata potente e grintosa, come in Stellina o Mademoiselle, una strizzata d'occhio al resto dei Tribali in giro, come per dire "Io sono pronto".
Ma ci sono anche momenti dove scava nel suo intimo e cerca risposte ad un amore che logora (Dormi e Vieni con il suo angosciante "non mi lasciare sola") e ad uno che finisce (Tu e le Rose), mentre Saibene ha la forza di strappare lacrime tale è l'intensità di questa piano ballad.
La sua è una terapia messa in musica, dove sembra che voglia insozzarsi di brutture e negatività(HIV, Ragazza Porno, Puttana da 1 Euro) per cercare una redenzione. Un viaggio duro e faticoso scritto con quel suo modo particolare di creare testi, a volte insolente, a volte viscerale ma che non lascia mezze misure, o lo si ama o lo si odia.
Confesso che non è stato facile scrivere questa recensione, visto che ad ogni ascolto avevo miriadi di sensazioni che mi giravano in testa a riguardo. Ed è proprio questo il bello di Stavolta Come Mi Ammazzerai, un disco che chiede di essere ascoltato e capito regalando così sfumature nuove ogni volta che si deciderà di mettere il disco sul piatto.
Ah dimenticavo...è anche il miglior disco di questo 2014 appena conclusosi..ma questo me lo confermerete voi!
www.edda.net
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Elisa Russo (Fan Page)
Niegazowana Records
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domenica 21 dicembre 2014

Will Be Christmas Mosche Di Velluto Grigio (autoprodotto 2014)













Natale si sa, ha sempre esercitato un fascino particolare con la sua tradizione e le sue atmosfere magiche. Anche le più scafate rockstar hanno sempre ceduto alla tentazione di riproporre qualche cover natalizia oppure regalare ai fans qualche inedito giusto per celebrare questa festa. La lista è lunghissima, si parte dai Twisted Sister fino ai Ramones, per non dimenticare Bad Religion e Pogues, questi ultimi poi raggiungono ogni hanno le toplist con la loro dissacrante Fairytale of New York.
Non vogliono essere da meno le Mosche di Velluto Grigio,band della Bassa Padana, di cui ho avuto modo di recensire mesi fa il loro ultimo album In te Ho Sognato.. , regalando ai propri fans questa strenna natalizia, disponibile proprio dal 23 dicembre sulle principali piattaforme digitali.
Will be Christmas vuole essere un tributo alla tradizione natalizia, ma anche un bel pezzo punk folk, nello stile delle Mosche, anche se rispetto alle recenti produzioni, la componente rock and roll è più marcata, lasciando comunque un bel tappeto di sottofondo alle cornamuse. L'inizio parte lento e soffuso, con la roca voce del Cagno che ha il compito di scaldare i motori, prima di partire a testa bassa come i migliori Dropkick Murphys o Bad Religion.
Inutile spendere troppe parole, Will be Christmas va ascoltato, assimilato e suonato, magari proprio la notte della Vigilia, dove tra un brindisi e l'altro ( Guinness o Whisky please!!) potrà scappare anche una pogata sotto l'albero prima di scartare i regali!
Buon Natale Mosche!!!
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sabato 8 novembre 2014

Wonderful Race Highway Dream (Street Symphonies Rec 2014)













Asfalto, lunghe autostrade assolate, odore di benzina e voglia di schiacciare fino in fondo la tavoletta dell'acceleratore! Ecco cosa mi è venuto in mente durante l'ascolto di Wonderful Race, debut album degli Highway Dream da Cremona, ottima band dedita ad un altrettanto ottimo hard rock che non disdegna qualche puntata in territori metal.
Ed è proprio l'opener Unbelievable che fa venir voglia di girare la chiave nel cruscotto e partire lasciando una stridente sgommata sull'asfalto, una killer song che mostra subito di che pasta son fatti questi rockers cremonesi.
Da subito si denota una notevole preparazione tecnica che lascia un a bella prova di sè in tutte le dieci canzoni del disco, la band è splendidamente preparata e rodata e nulla sembra essere lasciato al caso, soprattutto la voce di Isa Gorni, potente e versatile, tanto che in alcuni casi sembra allontanarsi dai territori più hard per confrontarsi con la grinta vocale di Tina Turner.
Non sono da meno neanche gli altri elementi come Roberto Zoppi che ci regala splendidi assoli, mai fini a se stessi, ma ben strutturati all'interno delle canzoni, cosi come la vasta gamma di suoni del suo guitar working che vanno dall' hard rock più sleazy fino alle svisate quasi thrash di Many Reasons.
Ed è proprio questo pezzo che vede il drumming di Max Agliardi arrivare a picchi di potenza e precisione incredibili, cosi come Gabriele Frosi che lascia impronte indelebili con le sue linee di basso.
Il ritmo e la potenza sono alla base del sound degli HD, ma è importante alla stessa maniera anche la ricerca della melodia, basti pensare a ritornelli catchy come Highway Dream o Let me be Your Breath che non sfigurerebbero in un ideale playlist di hard rock classico.
Il miglior pezzo del cd, a mio avviso, è però Falling Down, cinque minuti di rocciosi riff  che si dipanano tra cambi di tempo, arpeggi e atmosfere più soffuse, quasi un pezzo hard prog che riassume a pieno la grande versatilità e capacità della band di immedesimarsi nelle atmosfere più disparate.
Con Some Stars si torna a sonorità più di ampio respiro, una prima parte acustica ed intima che poi lascia il posto ad una cavalcata epica di puro rock and roll.
E puro rock and roll è anche l'atto conclusivo di questo debut: Born to Be a Rockstar, la dichiarazione definitiva d'intenti che gli Highway Dream vogliono lasciare ai loro fans. In questi quattro minuti di tellurica ed anthemica potenza sono racchiusi i sogni e le speranze della band e sicuramente diventerà un cavallo di battaglia in sede live.
A conti fatti ci troviamo davanti ad un ottimo disco, ben suonato e per nulla scontato, quaranta minuti che grondano sudore e passione che speriamo vengano recepiti da un pubblico sempre più ampio.
In un loro pezzo cantano "Some stars never start to shine"...la speranza è che la loro stella brilli sempre più luminosa nel panorama hard & heavy italiano.
www.highwaydream.it
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www.streetsymphonies.com
Wonderful Race Spotify


domenica 14 settembre 2014

Hai Paura del Buio Afterhours (Mescal Records/Universal 1997)












Con un disco come questo si potrebbe scrivere la parola CAPOLAVORO e chiudere ogni tipo di commenti, lasciando all'ascoltatore la voglia di togliersi la curiosità e scoprire il perchè di tale denominazione.
Ma sarebbe davvero riduttivo ed allora facciamo un salto temporale negli Anni Novanta, ultima decade davvero innovativa per la musica rock, soprattutto oltreoceano dove l'uragano grunge spazza via qualsiasi cosa e lascia segni indelebili anche nel nostro paese.
Le band cosiddette "alternative" iniziano a prendere piena consapevolezza di sè ed escono dalle cantine per affacciarsi nel mainstream, nascono case discografiche più o meno professionali e si organizzano tour sempre più estesi. Anche la stampa e i mass media iniziano ad aver un certo interesse verso questo nuovo mondo che si sta affacciando anche in Italia.
Nel 1997 esce Hai Paura del Buio ed è la summa dell'estro artistico creativo di Manuel Agnelli, cantante, chitarrista e leader della band milanese che più di ogni altra riuscirà nell'intento di imporsi al pubblico di ogni estrazione.
Nelle 19 tracce che compongono questo album troviamo un compendio di rock distorto ma allo stesso tempo melodico dove i nomi sacri di Pixies, Nirvana, Sonic Youth  vengono citati per descrivere il vortice sonoro che caratterizza l'intero lavoro: mai prima d'ora una band italiana era stata cosi vicina per sonorità, mentalità ed attitudine ai mostri sacri d'oltreoceano, complice anche un songwriting basato sulla tecnica del "cut up",ovvero il tagliuzzare frasi di senso compiuto e rimescolare le parole per poterne dare molteplici significati.
All'interno di HPDB ci sono sfumature e contrasti, a partire dalla copertina dove un innocente sorriso è sovrastato dall'inquietante domanda che da il titolo al disco, mentre l'apertura minimale di 1.9.9.6. è squarciata da una bestemmia, incipit di rabbia che prosegue nell' inno generazionale Male di Miele, la "Smells like Teen Spirits" della band, ottimo compendio di rock abrasivo e melodia, caratterizzato dalla voce urlata di Agnelli che non si risparmia nemmeno nella successiva Rapace, altra hit di rara bellezza ed intensa rabbia.
verrò come un rapace
a mutilare la pace
dentro nel tuo cuore, eppoi
se vuoi la mia reazione
e sia

I momenti più tranquilli arrivano con l' oscura e morbosa Pelle,ballad intensa che richiama nel titolo l'highlight del disco: Vorrei una Pelle Splendida, canzone che avvolge l'ascoltatore nelle sue spire e lo ammalia con le sue melodie e la seducente poesia venata di sarcasmo nel denunciare i cosiddetti "per bene", schiavi del benessere e della superficialità delle cose.
Stringimi madre ho molto peccato
ma la vita è un suicidio l'amore è un rogo
e voglio un pensiero superficiale che renda la pelle splendida
Senza un finale che faccia male
con cuori sporchi e le mani lavate
A salvarmi, vieni a salvarmi, salvami, bacia il colpevole
se dice la verità

Le scariche adrenaliniche figlie del punk le troviamo in Dea ( Territorial Pissings "de noantri"!!) e in Lasciami Leccare l'Adrenalina, provocatoria scheggia che bilancia in maniera perfetta le chitarre piene e la melodia, con un testo dotato di sarcastica cattiveria.
Forse non è proprio legale sai
ma sei bella vestita di lividi
mi incoraggi a annullare i miei limiti
le tue lacrime in fondo ai miei brividi

Una menzione merita anche Sui Giovani D'oggi ci Scatarro Su, rabbiosa polemica sulle generazioni odierne, figlie del consumismo e completamente prive di ideali. E' curioso che a distanza di vent'anni certe parole siano ancora cosi attuali.
Calzino bianco va commuovi d'onestà
Tronato tecnologico votato martire
Cambia la permanente in dreadlocks che ti cambia il cuore
Giocati l'anfibietto in tinta ti fa far l'amore
Ridai i soldi al tuo papà
Ridai i soldi al tuo papà
Sui giovani d'oggi ci scatarro su
Sui giovani d'oggi ci scatarro
Come pararsi il culo e la coscienza è un vero sballo
Sabato in barca a vela lunedì al leonkavallo
L'alternativo è il tuo papà
L'alternativa è il tuo papà
Sui giovani d'oggi ci scatarro su
Sui giovani d'oggi ci scatarro

La voglia di sperimentazione la troviamo in pezzi come Elymania,Senza Finestra e Punto G, che iniziano dove In Utero è stato forzatamente interrotto ( e si ancora loro...), ma anche nelle ballate pianistiche di Come Vorrei o Mi Trovo Nuovo affiora l'ennesima anima degli Afterhours, che mai come ora raggiunge un suono maturo ed adulto che va aldilà del pedissequo emulare i miti americani.
Come scrissi in un mio vecchio post sugli Afterhours, cosa sarebbe potuta divenire questa band se invece di nascere a Milano fosse stata di Seattle o Chicago. Purtroppo la loro italianità è stata un fattore limitante, ma c'è da dire che è una soddisfazione enorme avere nel nostro panorama e nella nostra piccola storia musicale una realtà come loro, spesso citati e lodati da bands come Afghan Whigs o personaggi carismatici come Mark Lanegan.
Un disco da riscoprire e sviscerare in ogni sua singola nota, l'opera grandiosa di un band che avrebbe meritato molto di più, ma che sicuramente si è tolta le sue soddisfazioni, grazie anche alla recente rimasterizzazione di Hai Paura del Buio con la comparsata di ospiti vari( Bennato, Greg Dulli,Mark Lanegan stesso,Giuliano Sangiorgi, Subsonica, Finardi e altri solo per citarne alcuni) su ogni traccia per rendere omaggio a questo pezzo di storia.
www.afterhours.it
Afterhours Facebook
Afterhours – Hai Paura Del Buio?

lunedì 1 settembre 2014

Water Shape The Black Rain (Atomic Stuff Records 2014)












Ecco un' altra produzione targata Atomic Stuff Records, piccola label italiana che sta compiendo parecchio movimento nel sottosuolo musicale tricolore puntando sempre più spesso su bands sconosciute ma molto interessanti.
Da pochi mesi è uscito questo secondo album dei The Black Rain, hard rock da Bologna che mi ha impressionato sin dai primi ascolti per la capacità di scrivere ottime canzoni dotate di tiro e melodia e soprattutto una versatilità che trascende i generi, spaziando dagli stilemi più classici fino ad abbracciare anche sonorità più attuali.
Infatti all'interno di questo disco possiamo trovare momenti più Anni Settanta come Mesmerize, che si regge su riff rocciosi e taglienti figli di quella pietra miliare chiamata Black Dog della premiata ditta Page & Plant, ma anche melodie più easy e veloci come She's So Amazing o Robert Johnson, potenti cavalcate che se fossero state incise nel periodo d'oro dell' hard rock/ AOR americano avrebbero fatto sfracelli.
Tutto qui vi starete chiedendo?e no invece ci sono alcuni episodi che meritano davvero molta attenzione, come Rock and Roll Guy, ballad che sa di polvere e asfalto, di sudore e fatica e che ti si appiccica addosso come un paio di vecchi jeans, talmente comodi che non vorresti mai farne a meno.
Times of Trouble è oscura, malinconica come solo Soundgarden e Temple of the Dog sapevano fare: il cantato di Mirko Greco trascende qualsiasi catalogazione regalandoci una prestazione ricca di sentimento e passione, elementi che raggiungono il loro zenit in Without Love, altra ballad che riesce davvero ad arrivare li dove deve colpire e cosa sarebbe potuta diventare se la produzione fosse stata davvero all'altezza di questa composizione.
Ebbene si, se devo trovare un difetto è proprio nella resa sonora, che se fosse stata più "potente" e meno ovattata avrebbe davvero regalato il top di capolavoro per questo album.
Il finale sorprende ancor di più con King of Stones, la traccia più sperimentale di tutto il disco, giocata su parti lente e stacchi più aggressivi, tutte nel segno di un hard rock oscuro che lambisce  territori quasi metal.
Una traccia da ascoltare e riascoltare più volte per carpirne al meglio le sfumature e gli ottimi inserti di chitarra presenti al suo interno.
In definitiva un ottimo lavoro che, nonostante le evidenti influenze musicali, riesce a stare in piedi da solo grazie a delle notevoli capacità compositive e ad un livello tecnico davvero alto, ma soprattutto è l'ennesimo segnale che in Italia ci sono band valide che meritano di uscire dall'anonimato e che meritano maggiori riconoscimenti.
www.theblackrain.com
https://www.facebook.com/pages/The-Black-Rain/137533619623054
The Black Rain – Water Shape



martedì 17 giugno 2014

In Te Ho Sognato..In Te Spero di Morir Mosche di Velluto Grigio (autoprodotto 2014)












Rinasce sulle sponde del fiume Po, tra i suoi canneti ed ii filari di alberi, la tradizione folk italiana, un ideale ponte tra la Bassa Padana e la Verde Irlanda  che viene proposto dalle Mosche di Velluto Grigio, band che celebra il celtic folk (o anti folk come amano definirlo loro) tra poesia, rabbia ed alcol.
Avevo avuto modo di recensire il loro precedente EP ed ora, ecco tra le mani questo nuovo lavoro, dall'affascinante titolo "In Te Ho Sognato... in Te Spero di Morir", dodici brani che spaziano dal folk al punk con un occhio di riguardo ai testi che sfiorano il cantautorato e sanno ancora fare centro raccontando profonde storie che non mancheranno di lasciare il segno nell'ascoltatore.
L'intro The Bastards omaggia i Murphys più alcolici e sgangherati ed è un ottimo biglietto da visita delle MDVG che da qui in poi ci accompagneranno nel loro mondo, fatto di storie di strada, ricordi e personaggi lontani nel tempo che ricordano il Davide Van de Sfroos più intimo ed ispirato. Pezzi come Quell'Uomo a Varano o Il Capitano Jones sono affreschi intrisi di malinconia e ricordi che prendono vita grazie all'ottimo songwriting della band.
Ma c'è anche un'animo combat e ribelle, quello dei pugni chiusi in cima alle barricate come in 25 Aprile, belligerante ed anthemica che affonda i denti e le unghie nella memoria storica oppure in Gli Spari su Londra dove fa anche capolino il sax, strumento un pò atipico per questo genere, ma che conferisce alla band più spessore ed anche originalità.
Uno degli highlight del disco è Dolcissima Strega del Mare,  intensa e struggente ballad dai toni noir che mi ricorda molto i "sea shanties" del tempo che fu. Qui le liriche fanno davvero la differenza conferendo un aurea poetica e malinconica a questa splendida canzone.
Ci sono anche pezzi cantati in inglese, piccole schegge folk come A Long Lament for an Old Friend o Maggie Dickson's Pub che sa sconfinare in territori quasi reggae.
Con Occhi Chiusi da Un Pò si giunge verso la conclusione ed i Nostri si cimentano con successo nel creare la loro "and the Band Playing Waltzing Matilda", tanto crepuscolare quanto solenne nel suo incedere finale.
Andate a scoprire questa realtà tutta italiana, ascoltando la loro musica vi sembrerà di sorseggiare un buon whisky delle Highlands, forte e brusco al palato, come il vento che spazza quelle lande, ma che una volta assaporatolo per bene darà calore e conforto al vostro cuore solitario.
http://www.moschedivellutogrigio.com/
https://www.facebook.com/pages/Mosche-di-Velluto-Grigio/191635417517388
Spotify

martedì 27 maggio 2014

It Doesn't Work Yerbadiablo (Atomic Stuff Records 2013)












Yerbadiablo...ammetto che, in principio, un nome così mi ha fatto pensare subito a torride sonorità desertiche, volumi saturi e progressioni devastanti tipiche dello stoner di fine Anni Novanta. Invece con mia grande sorpresa, mi ritrovo una band dedita ad eclettiche sonorità, che spaziano a 360 gradi e sono figlie di una mentalità e di una cultura che affonda le proprie radici nei Seventies.
Gli Yerbadiablo, provenienti da Bologna, sono al loro secondo album e per rendere meglio l'idea che si possa avere riguardo la proposta musicale,vi invito ad immaginare un'improbabile incontro tra Pink Floyd e Beatles, King Crimson e Stooges e Fleet Foxes e Queen of the Stone Age come riferimento per la musica attuale: in poche parole la band bolognese crea un sodalizio progressive-alternative che lascia davvero ben sperare.
Sin dall'opener Hemp Generation si tracciano linee space rock, con innesti di sax che tracciano percorsi quasi noir, ma andando avanti con l'ascolto delle altre canzoni risaltano anche tracce pop e folk come in Black Bird, dove i Beatles più psichedelici convivono con un anima pop rock. Inoltre la scelta di cantare sia in inglese che in spagnolo, da un tocco di originalità in più alla proposta degli Yerbadiablo, che non dimentichiamolo, danno molta importanza anche ai testi , sempre improntati all'attualità e all'impegno sociale, altra tipica caratteristica di molte band degli Anni Settanta (vedi gli Area per esempio).
Se in Habemus Punk esce l'anima più grezza e stradaiola della band è in Rattlesnake Tail in the Belly of the Whale, che convive la sperimentazione più folle, come se Frank Zappa avesse potuto jammare con i Primus di Les Claypool.
Il finale Pink Clous Purple Eyes invece ci porta in territori più rilassanti ed onirici, quasi a disegnare i paesaggi desertici che avevo citato in apertura, uno strumentale che rievoca le Desert Sessions di Josh Homme e che ci culla dopo un viaggio intenso che richiede parecchia dedizione.
Un buon lavoro che porterà parecchie soddisfazioni a questa nuova realtà underground italiana, una band che dimostra di aver le carte giuste per crescere ed espandere i propri territori musicali e,magari in futuro rendere più personale la propria proposta, per adesso ancora figlia di derivazioni musicali ancora evidenti.
Facebook Yerbadiablo page
Atomic Stuff Records


sabato 10 maggio 2014

Anthological Disease Temporal Sluts (Hate Records 2013)













Se apro il mio cassetto dei ricordi e faccio un salto all'indietro di circa vent'anni fa, non posso fare a meno di riesumare una serata estiva in quel di Cantù, dove nel parchetto comunale nel centro cittadino, si tenne un concerto-evento come pochi: The Humpers, punk rock band americana, all'epoca fresca di contratto Epitaph, in una tappa del loro mini tour italiano. Ricordo l'attesa e l'euforia per un simile evento, mosca bianca nelle tediose sere brianzole, ma anche sinceri apprezzamenti per il gruppo che suonò prima di loro, i Temporal Sluts, eccezionale act made in Como, che all'epoca iniziava a raccogliere molti consensi soprattutto all'estero.
Dopo quasi vent'anni, costellati da cambi di line up, sfighe, tour e una miriade di singoli,sette pollici e split, tutti rigorosamente licenziati da etichette indipendenti di mezzo mondo, ecco una raccolta semidefinitiva della loro svariata produzione.
Il bello dei Temporal Sluts era (anzi è ancor oggi) quella enorme e dirompente carica che ha sempre contraddistinto il loro punk 'n' roll perennemente in bilico tra il punk 77 e la decadenza di Stooges, Dead Boys e Johnny Thunders. Il loro sound è abrasivo e veloce e la loro mentalità ha sempre guardato oltre i territori italici, tanto che la loro ventennale carriera li ha portati ad esibirsi in Europa e negli States in compagnia di nomi celebri della storia punk mondiale.
Riascoltando i pezzi di questo cd, mi son ritornati in mente i bei tempi dove ordinavo i loro singoli da qualche fanzine o liste di distribuzione "do it yourself", quelle belle scritte fitte fitte con centinaia di nomi e titoli, per poi far girare sul piatto del giradischi schegge di rock and roll come Mafia Boys, Kill me Again o Sex Pope, estratto dallo split proprio con quegli Humpers citati poco fa.
Se vi va di andare a lezione di storia, recuperate questa raccolta, testimonianza di una band che avrebbe dovuto raccogliere molto più di quanto abbia mai seminato, ma che ha lasciato comunque un grande segno nella scena punk rock italiana e più nello specifico, comasca!
Love is a Dog from Hell!!!!!!!!!!!
https://www.facebook.com/TEMPORALSLUTS
http://www.reverbnation.com/temporalsluts


martedì 22 aprile 2014

Let's Do It Again Giuda (Fungo Records 2013)












Devo dire che ho sempre provato un senso di nostalgia e di invidia verso la Londra Anni Settanta con quel immaginario fatto di tamarissimi lustrini glam, canzoni da jukebox da cantare a squarciagola al pub dopo svariate pinte trascinati dai loro "stomping rhythm", senza dimenticare le terraces degli stadi inglesi, con la folla che ondeggiava e cantava senza sosta, magari infagottata con enormi sciarponi a righe e gli immancabili "boots" ai piedi, i giocatori in maglia stretta con basettoni enormi e capigliature lungocrinite, cosi lontani dai divi "plastificati" dei giorni nostri.
Tutto questo preambolo per presentare i Giuda, band romana, che con questo secondo album ci riprova a riportare la macchina del tempo indietro di quasi quarant'anni, epoca dove dominavano Gary Glitter, Marc Bolan, il pub rock con Sweet e  Slade con le loro hit da classifica per far ballare e saltare generazioni intere di teenagers.
Let's Do It Again è il secondo album, un lavoro che sta riscuotendo grandi successi non solo in Italia, ma anche in Europa, perchè la proposta dei Giuda è dannatamente valida, fatta da musicisti che credono fino in fondo in quello che fanno e che curano la loro proposta fin nei minimi particolari, dalla cover dell'album (imperdibile il vinile!), fino alla registrazione, rigorosamente in analogico con strumenti volutamente vintage Anni Settanta.
Le dieci tracce che compongono il disco sono veri e propri inni, a partire dal singolo, Wild Tiger Woman, opener dell'album, perfetto nella sua semplicità che colpisce lo stomaco e le palle dell'ascoltatore.
Con Yellow Dash si rispolverano i chitarroni "tamarri" di Marc Bolan ed i suoi T. Rex, mentre Get That Goal è fatta da cori da stadio e battimani, a sottolineare ancora una volta il connubio tra musica e calcio, altra grande caratteristica della cultura british.
Teenage Rebel è un altro anthem perfetto, irresisitibile come lo è Hold MeTight che chiede solo di essere imparata a memoria e cantata senza freni.
Le indiavolate Rave On e Get on The Line sono figlie dei primi AC/DC, quelli di High Voltage e TNT, scosse di irrefrenabile rock and roll, semplice, diretto ed immortale!!
Se mai ci dovesse essere un Diluvio Universale nel panorama rock odierno, vorrei che tra le 40 bands superstiti trovassero posto i Giuda con il loro sound volutamente retrò ma splendidamente sincero e travolgente.
Provate a mettere sul piatto questo disco o concedervi una serata sotto palco con i Giuda e vedrete che non riuscirete a stare fermi per più di due secondi per trovarvi sudati e felici dopo esservi sgolati al grido di "Come On Giuda, Get That Goal!!"
www.giuda.net
https://play.spotify.com/artist/1h4q
https://www.facebook.com/pages/Giuda/162619653788119

lunedì 7 aprile 2014

Leave it Behind The Peawees (Wild Honey Records 2011)












Sono passati davvero tanti anni da quando, per la prima volta; ascoltai la band spezzina dei Peawees: erano gli anni Novanta e giravano i loro primi sette pollici, le loro prime apparizioni alle compilation punk e nelle scalette dei concerti  italiani. I loro album erano incendiari ed oltre alle influenze "ramoniche", vi si potevano trovare tanti riferimenti al rock and roll dei tempi d'oro.
Ma è con questo Leave it Behind che i Nostri fanno finalmente il salto di qualità, che dovrà permettere loro di farsi conoscere ben oltre la cerchia degli "aficionados" dei tre accordi e via.
LIB è un disco maturo, adulto, ricco di energia e splendidamente vintage, uno sguardo al passato, al Rock and Roll degli Anni Cinquanta, ma anche al Soul ed al Rhythm and Blues dei Sixties,senza dimenticare le svisate garage/protopunk della Detroit Rock City.
In questi solchi Hervè Peroncini ed i suoi boys hanno superato se stessi, trovando finalmente il giusto sound, che da anni inseguivano, impomatando di brillantina il loro punk rock, un pò come fecero i Clash  o i Social Distorsion anni prima, inseguendo le polverose highway americane per perdersi in qualche fumosa bettola, suonando un rock and roll sudato, caldo e maschio.
Il quartetto iniziale Food for My Soul-Gonna Tell-Memories are Gone e Don't Knock at my Door hanno il potere di stendere chiunque, far muovere i piedi e battere il cuore, grazie a quelle ritmiche sincopate, alle chitarre sferraglianti e a quelle backing vocals femminili che mi riportano alla mente i Commitments di Alan Parker.
Digging the Sound è working class e trasuda la rabbia black di chi cerca il proprio riscatto.

I don't know why but i got into a fight
I gave and got and i still don't know why
My face was bleeding and i couldn't see
Then i cleaned up now thats where i am

Is that you?
Got a broken nose, so desperate
Now my world is just a mess because of you
You are my angel
yeah, you were my angel and now you are gone
Took my bleedin' face to the car
Someone asked if everything was alright
I said yes cause i had all i wanted
Cause i was diggin' the sound


cosi come lo sono le atmosfere di Good Boy Mama, ritmi soffusi per una hard ballad che parla di guai e tempi duri.
Danger è puro garage'n'roll e otterebbe la benedizione di Iggy Pop ed i suoi Stooges, mentre il finale è puro amarcord  Anni Sessanta, con Count me Out, con le sue melodie da "rebel without a cause" che potrebbero far piangere od innamorare. A voi la scelta.
Per quel che mi riguarda questo album è davvero un capolavoro, un salto di qualità impressionante per una band che non guarda più da diversi anni alla scena italiana, ma vive proiettata all'Europa ed alle vicende a stelle e strisce.
Da ascoltare e riascoltare per imparare una grande lezione di storia!!!
www.thepeawees.it
https://www.facebook.com/thepeawees
Peawees – Leave It Behind


sabato 29 marzo 2014

Deadly Kick for a Fat Fucker The Clamps(Go Down Rec 2014)












Avete presente nel film Pulp Fiction la scena in cui, John Travolta, per far riprendere Uma Thurman da un overdose le inietta una siringa di adrenalina dritta nel cuore e lei, ripresasi di colpo esclama " Che botta, cazzo!Ho detto cazzo che botta!"? Ecco queste sono le mie identiche parole appena ho messo nello stereo questo debut album dei bergamaschi The Clamps, power trio di marcio rock and roll.
Lasciate da parte intellettualismi e vibranti digressioni musicali, in questo cd trovate l'essenza di quello che dovrebbe essere la vostra musica preferita: impatto, violenza ed ignoranza. Un suono pieno e diretto che prende spunto dallo stoner più marcio( Orange Goblin), il punk rock/garage e la prima ondata di rock and roll scandinavo con la benedizione dei Motorhead su tutti!
Dodici tracce che filano via che è un piacere, dall'opener Bones (impreziosita nel finale da un Hammond!) fino alla strumentale Gazza, che potrebbe uscire dai solchi infernali di Bomber del signor Kilmister. Per non dimenticare la triade Loser-Honey-Burn, nella parte centrale dell'album, una legnata tra capo e collo a cui è impossibile rimanere impassibili.
Parafrasando il titolo del cd, questi pezzi sono davvero un "calcio mortale" negli zebedei, puro godimento rock and roll per le nostre martoriate orecchie e fidatevi che anche dal vivo i The Clamps non si fanno pregare nel mettere a ferro e fuoco il palco.
C'e sempre un buon motivo per continuare a credere nel rock and roll!!!!!
Facebook page/The Clamps
www.theclamps.net
Go Down Records



venerdì 10 gennaio 2014

Revelations Loud Nine (autoprodotto 2013)












E' di pochi giorni fa la polemica che vede coinvolto il regista livornese Paolo Virzì per alcune sue frasi che descrivono la Brianza come una terra popolata da avidi squali divisi tra lavoro, denaro e ville bunker avvolte nella nebbia. Molto probabilmente il buon Virzì non sa che negli ultimi anni la Brianza ha regalato un attiva e proficua scena musicale indipendente che vede coinvolti molti nomi, locali e uscite discografiche originali e di ottimo livello.
E' il caso dei Loud Nine, giunti al secondo album, rigorosamente autoprodotto che fa da seguito al debutto Golem(2009), un ottimo disco di stoner/ rock and roll che faceva ben presagire sul futuro della band.
Con questo Revelations i Nostri, oltre ad ampliare la line up a due chitarre, confezionano un lavoro molto elaborato e professionale, a partire dalla cover e dal booklet interno, fino alla parte musicale con brani molto elaborati e ben strutturati ed un occhio particolare verso gli arrangiamenti.
Le linee guida della proposta musicale riprendono le nuove tendenze in ambito alternative/metal d'oltreoceano e mi vengono in mente gli ultimi Mastodon ,i Queens of the Stone Age o i Foo Fighters di Dave Grohl, ma questi paragoni non devono fuorviare sulla qualità di questo album, formato da brani che stanno in piedi da soli,caratterizzati da una forte personalità e da un suono che rende i Loud Nine perfettamente riconoscibili ed originali.
Lo strumentale Locomotive è il preludio per una pioggia di riff heavy e pastosi come in Carson e Platinum, soprattutto quest'ultima con un finale esaltante con le chitarre che si intrecciano in linee melodiche assolutamente coinvolgenti. La voce è aggressiva e conferisce toni molto vicini al  groove del metal, tanto che in molti passaggi mi sembra di sentire quelle sonorità che fecero successo in Scandinavia un decennio fa (Sentenced su tutti).
Zeta è un lungo brano molto articolato che racchiude tutte le caratteristiche della band: tecnica, potenza e melodia, quest'ultima componente la fa da padrone in Burn, ottima presentazione nel primo video della band.
Anche la titletrack è una elaborata e complessa song che merita ascolti approfonditi per poter carpire appieno tutte le sfumature, mentre la chiusura è riservata ad Hurricane, un'esperimento acustico che riporta in mente le Desert Session al Rancho de la Luna di Josh Homme.
Insomma le potenzialità per crescere ed esplodere i Loud Nine le hanno, speriamo che trovino una line up stabile ed un contratto discografico che garantisca loro più visibilità  e possibilità di suonare in giro.
Nel frattempo procuratevi questo Revelations e ascoltatelo a tutto volume! Non ve ne pentirete!
Official Site
https://www.facebook.com/LoudNine
Loud Nine – Revelations (spotify)



sabato 28 dicembre 2013

Good Things Miami & The Groovers (autoprodotto 2012)












Ma non vi siete stufati di andare nei locali e sentire le solite cover band che vi propinano musica trita e ritrita suonata da improvvisate rockstar?
No perchè ultimamente il trend della musica live è questo, ma fortunatamente capita di imbattersi di tanto in tanto in singole realtà che riportano il rock and roll nella giusta dimensione con concerti infuocati fatti di sudore e passione e musica originale.
E' il caso dei riminesi Miami & The Groovers, una band che vanta un ottimo seguito nell'underground nostrano, forti di centinaia di concerti ed una manciata di album che fanno davvero ben sperare per quel che riguarda la scena rock di questo disastrato paese.
Good Things è un disco davvero bello ed intenso, costruito per omaggiare  i propri idoli di gioventù, ma allo stesso tempo vuole battere una strada nuova e personale che vede tra le sue "milestones" riferimenti a Springsteen, i Clash, Morrissey e gli Smiths, The Who, il blues polveroso e sudato delle highways e il folk più rusante e genuino.
Proprio la titletrack che apre il disco è trascinante e solare come una domenica mattina d'estate, fatta per essere suonata dal vivo e cantare con tutto il proprio pubblico sotto palco.
SUNDAY MORNING COMING DOWN
WITH A HIGH AND LONESOME SOUND
YOU?VE BEEN FIGHTING IN THE HEAT
SHE WAS DANCING LIKE A QUEEN

I HEARD YOU HAD A CRAZY RIDE
WITH THE BOYS FROM THE LOWER SIDE
THEY SAID DON'T THINK TWICE TONIGHT
HEY DANNY DO I LOOK ALL RIGHT?

YOU GOTTA TAKE MY HAND
THERE'S A LOT OF GOOD THINGS 
THEY'RE COMING OUR WAY

On a Night Train e Burning Ground sono gli episodi più duri e diretti, figlie di un rock di matrice anglosassone(vedi Kinks, The Who o i primi Clash), un ideale ponte tra la Swinging London e la Swinging Rimini.
Ma dal lungomare romagnolo partono anche tanti ponti verso gli States, in particolare la Jersey Shore, grazie a pezzi come Before Your Eyes o Walkin All Alone, rock di classe impreziosito da ottime lyrics che prendono come fonte d'ispirazione personaggi come Springsteen e Tom Petty.
Se poi si passa ad ascoltare Audrey Hepburn's Smile si tirano in ballo anche i figliocci del Boss, quei Gaslight Anthem che riscuotono cosi tanto successo da qualche anno a questa parte.
La malinconica ballad Postcards è il preludio per l'esplosione folk di We're still Alive, una veloce giga dal sapore irish figlia dei Pogues e, ancora lui, Springsteen periodo Seeger Band: una working class song carica di speranza e di sudore per chi, nonostante tutto è ancora in piedi!
CAN YOU LISTENIN' TO THE BEAT OF YOUR HEART
WHEN THE TIME IS RIGHT AND YOU'RE FEELIN' ALRIGHT
DO YOU REMEMBER WHEN WE USED TO FIGHT 
FOR A PIECE OF BREAD AND A HOLE IN YER FEET

ARE YOU WATCHING THIS WORLD'S FALLIN' DOWN
FOLLOW THE LIGHT YOU'RE A STRANGER IN TOWN
MY COAT IS WET BUT YOU DON'T HAVE REGRETS
I AM A GANGSTER AND I WON'T FORGET

PUT YOUR PRETTY ARMS AROUND MY NECK
TURN OFF THE TV THERE'S NO WAY BACK
IT?S ANOTHER DAY FOR YOU AND I
WISH ME GOOD LUCK WE'RE STILL ALIVE

Insomma date un ascolto a questo lavoro, davvero ben confezionato, ben prodotto, ma soprattutto con tante idee da diffondere e soprattutto cercate la data dei M&TG più vicina a voi, un esperienza live che vi cambierà tante cose, sempre se non vi accontentiate della solita cover band dei Deep Purple!
Miami & The Groovers Official Site
Miami & The Groovers Fan Club Ufficiale
Miami & the Groovers – Good Things



domenica 10 novembre 2013

You'll Never Walk Alone/Eile's Diary Mosche di Velluto Grigio (Autoproduzione 2011)













Tempo fa mi sono imbattuto in un concerto delle Mosche di Velluto Grigio, folk band proveniente dalla rive del Po della Bassa Padana. La loro esibizione mi colpì oltremodo vista l'energia e la carica live profusa durante  il loro set e con mio stupore scoprii che la loro carriera si protrae da oltre dieci anni con diverse pubblicazioni in studio, rigorosamente autoprodotte.
La loro ultima fatica è questo EP di sei tracce intitolato You'll Never Walk Alone/Eile's Diary, prodotto dal polistrumentista scozzese Keith Easdale e ci presenta  una band con sonorità in bilico tra le pulsioni punk di Clash e Stiff Little Fingers e il folk di Pogues, Violent Femmes e gli italiani Modena City Ramblers.
Ci sono malinconiche ballate come Eilè e Vinèsa e altri pezzi più tirati come Fiore di Maggio e Il Marinaio di Limerick, splendide storie venate da malinconia resa ancor più evidente grazie ad innesti di sassofono, una peculiarità che rende le MDV ancor più particolari.
Il punto di forza della band è quello di scrivere, appunto, storie e metterle in musica, ballate che raccontano persone e personaggi, sensazioni che arrivano dirette al cuore lasciando la band in bilico tra il cantautorato e l'irruenza punk. Nelle loro canzoni ci sono personaggi che scappano dal loro destino e dai loro incubi (Eilè) oppure marinai che salpano per non tornare più indietro ( A Sud) ed altri che vorrebbero tornare dalla loro amata (Il Marinaio di Limerick). Ci sono ladri che vorrebbero rubare le guerre per lasciare la pace (Bonnie & Clyde) e magari festeggiare sotto cieli gonfi di pioggia con qualche birra in mano.
Provate quindi a cercare i loro album e inoltratevi in questo mondo di malinconiche canzoni punk e vederete che la musica delle Mosche di Velluto Grigio saprà rapirvi l'anima!
www.moschedivellutogrigio.com
Mosche di Velluto Grigio-Pagina Facebook





mercoledì 4 settembre 2013

Mat e Famat I Luf ( Self 2013)












A volte certi incontri sono dettati dalla pura casualità, il trovarsi al posto giusto ed al momento giusto, il riuscire a cogliere l'attimo ed avere la fortuna di assistere ad un concerto memorabile.
Così è stato per me con i Luf, lo scoprirli per puro caso ad un festival musicale un pomeriggio estivo in riva al lago e da lì iniziare a scoprire i loro dischi ed a seguire le loro date su e giù per il nord Italia.
Dopo lo spettacolare Flel, ultimo album in studio targato 2010 ed un successivo tributo a Guccini, i "lupi" sono scesi ancora dalla loro Val Camonica, sempre più affamati di musica e pronti a mostrare i denti ( in senso buono) anche se con qualche pelo ingrigito.
Il risultato? uno dei migliori album folk che siano stati prodotti negli ultimi tempi, con davvero tanta carne al fuoco, nuove storie da raccontare e quella voglia di far ballare la propria gente anche in tempi dove c'è poco da star allegri.
Ritengo Dario Canossi, voce e leader della band uno dei migliori cantastorie in circolazione, capace di far divertire, ma anche di far pensare con il suo modo diretto di interpretare le proprie canzoni sempre intrise di impegno sociale e voglia di riscoprire le proprie semplici ed umili radici.
Basti pensare al titolo stesso di questo album, Mat e Famat ovvero "matto e affamato" per chi non mastica il camuno, che tanto ricorda quello "stay hungry, stay foolish" di Steve Jobs che va a costruire un ponte ideale tra le valli bresciane e gli Stati Uniti d'America, legame rafforzato ancora di più dalla finale Le Al de Legn che non è altro che American Land di un altro nome noto a stelle e strisce, Bruce Springsteen.
In mezzo tanta Irlanda, tanto country e tanto impegno sociale come in Ballata per Vik, dedicata a Vittorio Arrigoni, volontario di Emergency ucciso lo scorso anno in Palestina.
La canzone è scritta a quattro mani insieme alla mamma di Vittorio ed è tanto bella quanto amara.
hanno fuso piombo e sangue nella sabbia hanno spento le fontane
queste guerre fatte in nome della pace sono luride puttane
cristo a piedi nudi cammina in Palestina
ma una stella con sei punte gli ha spento la mattina
Questa è solo una delle numerose collaborazioni che contraddistinguono i dischi dei Luf e, se in passato avevano partecipato al banchetto amici come Davide Van De Sfroos o i fratelli Severini (Gang), questa volta troviamo i ticinesi Vad Vuc (la fanfara di Quando la Notte Piange) o il folk rocker Daniele Ronda che fa da special guest nell'indiavolata Trebisonda.
Il dialetto camuno è sempre ben presente, come nella titletrack o nell'iniziale Oroloi, surreale descrizione di un orologio a tre lancette per non gettare ulteriormente il nostro tempo al vento e poter carpire la felicità.
Anche Barbos Barbel Barbù è caratterizzata dal dialetto e si ispira ad una storia vera, una storia di diserzione dalla guerra, altro argomento che Canossi tratta spesso nei suoi brani, ispirandosi alla memoria storica per raccontare gli orrori dei conflitti, in particolare La Seconda Guerra Mondiale, ripresa anche in brani come Lungo la Linea del Don e Giuda della Neve.
piangon le scarpe dei vecchi lungo la linea del Don
son partiti vecchi ora son bambini lungo la linea del Don
negli occhi il sangue che scorre amaro lungo la linea del Don
nel cuore gli occhi del loro amore lungo la linea del Don
A conti fatti quello che ho sempre apprezzato nei Luf è la loro semplicità nel raccontare grandi storie,nel dar speranza alla gente riempiendo le piazze e i palazzetti per farla divertire,pensare e sognare.
E questo è un pò il pensiero che emerge in Camionisti, la loro autocelebrazione, dove si definiscono appunto condottieri di un carrozzone folk che vuole distribuire canzoni e sogni.
sotto gli occhi stanchi
risate da ribelli
passati tempi buoni
arrivan quelli belli
questo è il mio mestiere
scrivere canzoni
e abbottonarle strette
ai vostri sogni
Per quel che mi riguarda questo è il miglior album dei Luf, suoni perfetti e songwriting elevato che raggiunge il perfetto connubio tra impegno e goliardia, ma soprattutto è un album che sgomita per uscire dai confini territoriali e del folk in generale. Che sia arrivato anche il loro momento per fare il grande salto...
P.S
Non scaricate questo o gli altri dischi dei Luf!! Andate ai loro concerti e recuperate gli originali, splendidi digipack curati in ogni dettaglio che faranno la gioia di chi ha sempre avuto la nostalgia del vinile.
Son piccole gioie anche queste!
www.iluf.net
www.facebook.com/BrancoDeiLuf
spotify:album:1QrLR6FPno10I7CeyHCurJ

giovedì 4 luglio 2013

Carry On Rebels Bay (Indelirium Records 2012)












Social Distorsion...Rancid...Clash...The Gaslight Anthem...ecco se vi luccicano gli occhi solo a sentir nominare queste band, date un ascolto ai Rebels Bay, band italiana di recente formazione, ma ben rodata sui palchi nostrani ed europei, che con questo EP vuole ritagliarsi la sua fetta di pubblico nella scena punk rock attuale.
La band ha come base le rive del lago di Garda, ma la sua line up ha subito qualche stravolgimento con membri che provengono da svariate parti d'Italia e da Berlino. Dopo due tour in giro per il continente, la Indelirium Records licenzia il loro primo EP, sulla scia dei veterani One Trax Mind.
Senza troppi giri di parole in questa mezz'ora di musica troviamo un ottimo condensato di punk rock, sudore,tatuaggi e la giusta attitudine da strada che traspare dalle spettacolari liriche che ci raccontano storie di cuori spezzati, amicizie sincere e di vite in salita, perennemente in cerca del giusto riscatto.
"I've got scars deep inside my heart"... ecco l'opener di questo cd e con parole cosi forti si capisce subito che i ragazzi non scherzano e seguono la scia di Mike Ness e dei suoi Social D., tra l'altro citati  in My Friend and My Family ( I'm driving my car down the boulevard while the sun is going down/empty streets in front of me and the radio is playing an old Social D.) vero manifesto del pensiero della band.
Wild Hearts and Broken Bones è il pezzo scelto per il video promozionale, irresistibile anthem punk rock, mentre la successiva Billy's Legend, a metà tra Clash e Gaslight Anthem è una storia di riscatto e di speranza di chi non smette mai di inseguire i propri sogni.
California Smile è solare come unpomeriggio d'estate passato tra tavole da surf, spiagge e la ragazza dei tuoi sogni , mentre la conclusiva Rebel Love è una malinconica ballad dal ritmo folkeggiante che fa molto busker.
In definitiva questo Carry On è un ottimo biglietto da visita per una band che si è fatta le ossa sui palchi di mezza Europa e che non deluderà di certo i fan dei Social Distorsion e del punk più stradaiolo.
www.facebook.com/Rebelsbay
Indelirium Records
spotify:album:1dI3PG6lKHxkTHnmDS0eAf

mercoledì 19 giugno 2013

Resurrection Death SS (Lucifer Rising/Self 2013)











Poco meno di un mese fa recensii l'ultimo comeback discografico degli Extrema, band storica del metallo tricolore, ed ora ecco tra le mie mani il ritorno discografico di un'altro gruppo che ha scritto pagine importanti di storia: i Death SS!
Ho sempre seguito il percorso artistico della band di Steve Sylvester ed ero rimasto al loro Settimo ed ultimo Sigillo (The Seventh Seal, 2006) che decretava la fine di un percorso artistico ed esoterico che ha sempre caratterizzato le tematiche della band toscana.
Però il leader maximo Steve Sylvester non è certamente stato con le mani in mano in questi anni, scrivendo colonne sonore per film horror e partecipando come attore ad alcune serie televisive come L'Ispettore Coliandro o S.I.S.
Ed ecco che all'improvviso maturano i tempi per rimettere in pista il monicker Death SS, con una rinnovata line up ed una buona serie di pezzi, alcuni già editi perchè commissionati come soundtrack di film, ed altri invece inediti, tenuti nel cassetto e sviluppati per questa nuova "Resurrezione" musicale.
L'opener Revived parte col botto e ci presenta i Death SS in splendida forma con il loro sound inconfondibile: riff serrati molto industrial, un tappeto di effetti elettronici e l'inconfondibile voce malefica di Steve Sylvester, da sempre molto attento alle evoluzioni musicali che lo circondano, pronto a carpire il meglio e plasmarlo alla sua maniera per creare il sound giusto per la sua creatura.
Le tematiche occulte la fanno da padrone, soprattutto i rimandi ad Aleister Crowley,vera musa ispiratrice, soprattutto in The Crimson Shine, che rimanda al periodo di Panic, a mio avviso il capolavoro assoluto della band.
Nonostante il taglio moderno dei pezzi, troviamo molti riferimenti al metal più classico, grazie anche agli inserti di chitarra di Al DeNoble che tesse magnifiche melodie in The Darkest Night e Dyonisius che rievocano invece gli anni di Heavy Demons e Black Mass.
Continuando il viaggio all'interno di questo album ci imbattiamo nella traccia più "malata" ovvero Ogre's Lullaby, altra colonna sonora, dotata di un aurea davvero malefica per l'incedere lento e le atmosfere alla "Dario Argento"con la voce di Steve Sylvester che sembra un rantolo. Per certi aspetti sembra un improbabile accostamento tra Marylin Manson e certo black metal sperimentale.
La successiva Santa Muerte si rifà al culto in voga presso i narcos sudamericani ed è il preludio a quello che considero il vero capolavoro dell'intero album: The Song of Adoration, una lunga suite che fa confluire elementi doom, progressive e metal uniti ad elementi arabeggianti ed egizi.Un viaggio, quasi psichedelico, che merita svariati ascolti per carpire al meglio le innumerevoli sfumature presenti all'interno di esso: in questi nove minuti la band di Steve Sylvester ha davvero superato se stessa con una composizione maestosa.
A chiudere l'album troviamo la scanzonata Bad Luck, un rock and roll alla Alice Cooper, che vuole mandare a quel paese i detrattori della band che da anni si sono trincerati dietro la solita solfa che i Death SS portino sfiga...ecco servita la risposta!!
A conti fatti il ritorno discografico di Steve Sylvester è davvero gradito, vista l'alta qualità dei pezzi presenti sull'album, anche perchè non ho mai creduto fino in fondo alla morte discografica di questa band, visto che ha ancora parecchio da dare al suo pubblico. Evidentemente si era esaurito un percorso e serviva del tempo giusto per ricaricare le pile e tornare a cavalcare l'Apocalisse come raffigurato nella cover di questo album!
Bentornati!!!
WWW.DEATHSS.COM
www.facebook.com/deathssofficial
The Cursed Coven (Official Death SS Fan Club)
spotify:album:5TmUZi4bF400emQSh0HDO3