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martedì 24 marzo 2015

Bandit from Border EP Mosche di Velluto Grigio (autoprodotto 2015)

Davvero instancabili e prolifiche queste Mosche di Velluto Grigio,agguerrita band lombarda, che nel giro di un anno ha pubblicato un album e un singolo natalizio, ed ora ci delizia il palato con questo EP semiacustico, dove, liberatisi da distorsioni ed orpelli elettrici, danno sfoggio della loro espressione più calda ed intima confezionando cinque brani di pregevole fattura.
Se i punti di riferimento sono sempre stati il combat punk di Clash o Stiff Little Fingers ed il folk di Pogues e Dubliners ( senza dimenticare una vena cantautorale di tradizione italiana), ora la loro ispirazione vola fino alle lande sperdute americane, quelle desolate terre di confine, teatri di conflitti sociali e miserie che hanno ispirato i più grandi cantautori d'oltreoceano e , quando ascolterete l'iniziale No More Work, non stupitevi se vedrete materializzarsi il "fantasma" di Tom Joad, perchè è proprio  li che le Mosche, con questo nuovo capitolo della loro discografia vogliono trasportarvi.
Springsteen, Steve Earle, Woody Guthrie e Ryan Bingham, sono questi i primi nomi che mi vengono in mente ascoltando queste tracce, cosi scarne, ma tanto intense, grazie ad un songwriting sempre più maturo, ad una voce calda e a quell'arma in più che è il sassofono, ormai marchio di fabbrica della band, che, oltre a rendere la loro proposta originale, conferisce dei toni crepuscolari alle canzoni, rendendole intense e vibranti come un tramonto sul Grand Canyon.
L'ennesima gemma ci viene regalata con Far from Home (grandparent's home), malinconica e struggente, con l'unica concessione elettrica data dall'assolo di chitarra come ciliegina sulla torta: l'ennesima perla nella discografia di questa band che  da il commiato con Witch of the Day at the End of His World che sembra uscita dalla penna e dalla chitarra di Ryan Bingham.
Un'altra grande prova per questa band, che riesce sempre a reinventare il suo stile, regalando miriadi di sfaccettature alla sua proposta  senza snaturarla o porre limiti alle influenze musicali.
Ed il viaggio prosegue, dalle scogliere di Scozia ed Irlanda fino alle sconfinate terre di frontiera americana!
www.moschedivellutogrigio.com
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domenica 15 marzo 2015

The Hunger & The Fight (part 1) The Mahones ( Whiskey Devil Records 2014)













Mi sono innamorato della musica dei Mahones diversi anni fa, quando mi capitò tra le mani una copia della loro raccolta antologica per celebrare i vent'anni di attività e, da quel momento, ho iniziato a seguire le vicende di Finny McConnell e della sua band con dedizione e passione.
Passione che non è venuta meno anche con i loro ultimi lavori, più dediti a sonorità grezze e punk rock che allontanavano la band canadese dai  territori folk alla Pogues/Waterboys: ottimi lavori per carità, ma che scivolavano via senza darmi quelle buone vibrazioni presenti nei capitoli precedenti della loro discografia.
Ed ora, eccoci arrivati ad un punto cruciale nella carriera di questa band, che, dopo l'ennesimo stravolgimento di line up ci presenta il primo step di un ambizioso progetto strutturato su due album, che vuole descrivere l'epopea del popolo irlandese negli ultimi due secoli di storia, tra lotte, miseria e riscatto sociale.
In questa prima parte i suoni tornano ad essere più "folkish" ed anche la strumentazione tradizionale va a ricoprire un ruolo importante nel trademark dei Mahones che, proprio nella titletrack ci presentano un bel folk rock dai toni epici e "in crescendo" che vanno a trovare il loro climax nella parte finale della canzone. In questo brano Finny alterna la sua voce roca e calda a quella della prima ospite del disco, la cantante canadese Tara Slone dando cosi ancora più colore ad uno dei migliori brani della discografia dei Mahones.
La successiva Poor Paddy on the Railway è una traditional song, resa già celebre da Shane MacGowan  nel periodo Popes e vede il rimbalzarsi delle strofe( tipico nel folk irlandese) tra Finny e Tony Duggins dei The Tossers, altra bella realtà da Chicago. La canzone  tratta l'argomento del duro lavoro degli irlandesi quando emigrarono nei primi anni del 900 in America, costretti alle mansioni più degradanti e faticose per poter sopravvivere agli stenti di quei periodi.
Uno dei capolavori di questo album è la ballata Stars, dedicata ad uno dei più famosi scrittori dublinesi, Oscar Wilde e alla sua condizione di perseguitato prima ed esiliato poi, per via della sua dichiarata omosessualità. Alla chitarra troviamo la comparsata di Simon Townsend, figlio del ben più famoso Pete, chitarrista degli Who, grande passione del "capo" Finny.
Il tiro si alza con la successiva Prisoner 1082, rabbiosa e dall' incipit clashiano che vede raccontare le vicende di un arrestato politico, Danny Donnelly, famoso per esser scappato dal carcere di Belfast, al tempo l'Alcatraz europeo e aver vissuto una vita da rifugiato, poichè ricercato da Scotland Yard.
Si ritorna al folk diretto e scanzonato con A Pint of the Plane (A Drop of the Pure), una drinking song veloce e danzereccia come nella miglior tradizione irlandese che però vuole mettere in guardia dalla piaga dell'alcolismo, piuttosto che elogiare le bevute di massa, cosi tipicamente irish.
Il lato romantico della band si manifesta con Someone Saved Me, canzone d'amore che il buon Finny dedica alla moglie, anch'essa musicista a tempo pieno nei Mahones, in veste di fisarmonicista, mentre le successive due canzoni sono il tributo che la band fa alla città di Dublino, prima con The Auld Triangle, la poesia scritta da Brendan Behan e all'epoca messa in musica dai Pogues, mentre con Blood in the Streets of Dublin si tocca con mano il dramma della violenza che per decenni ha insanguinato la capitale irlandese, per cui,al giorno d'oggi, quasi tutte le strade della città hanno morti o ricorrenze da ricordare.
Il finale invece è per St. Patrick's Day Irish Punk Song, un veloce folk punk che vuole autocelebrare la carriera ventennale dei Mahones, dal loro primo concerto proprio nel giorno di San Patrizio fino ai recenti tour mondiali. Un pò di autostima fa sempre bene e il finale è davvero da fuochi d'artificio!.
La versione in vinile ha anche due bonus track, una cover dei Them di Van Morrison, I Can Only Give You Everything ed una dei Rancid, Last One to Die che valgono la pena di essere ascoltate.
Applausi quindi per questa release dei Mahones, che firmano cosi un piccolo capolavoro nella loro discografia ed ora aspettiamo con ansia la seconda parte per chiudere il cerchio di questo ambizioso, ma splendido progetto.
I've got the hunger and the fight
and god knows I will survive
in thiese dark times, there is a light
in this world of sins, there is right
I've got the hunger and the fight
I've got the hunger and the fight
the hunger and the fight






                                   

mercoledì 4 marzo 2015

A Hillbilly Tribute to AC/DC Hayseed Dixie (Dualtone Records 2001)













La leggenda vuole che nel cuore dei Monti Appalachi, in una vallata dimenticata da Dio, un gruppo di sgangherati musicisti bluegrass si imbatta per un caso fortuito in un incidente stradale, dove il conducente della vettura che si è appena schiantata contro una quercia secolare, muore sul colpo ed i nostri prossimi eroi, per cercare di risalire all'identità dello straniero, rovistano tra i suoi effetti personali, trovando così una serie di vecchi vinili di un gruppo a loro sconosciuto che porta il nome di AC/DC. Ascoltando successivamente questi dischi hanno una folgorazione che cambierà radicalmente le loro esistenze: riarrangiare quei brani in versione country-bluegrass e per porre la prima pietra sul  loro progetto decidono di mutare il nome della loro band in una storpiatura del monicker dei loro ispiratori.
Ok questa è la leggenda, la storia vera è che questo primo lavoro degli Hayseed Dixie spacca e lascia davvero basiti per come questa band del Tennessee abbia stravolto brani strafamosi di una delle band rock più popolari di sempre, rendendole patrimonio del mondo folk & country americano.
Inutile citarvi la tracklist, le canzoni le avrete sentite migliaia di volte, ma sfido chiunque a storcere il naso di fronte ad una You Shook Me All Night Long in versione banjo e violino con tanto di voce sbiascicata. Anche Back in Black, famosa per il suo riff roccioso di chitarra viene addolcita con veloci passaggi di banjo, mentre Highway to Hell..beh..quella è rock puro e anche il bluegrass deve inchinarsi ad una canzone cosi.
La demenza è un altro punto a favore degli Hayseed Dixie e TNT è accomapagnata dagli "oink-oink" dei cori di sottofondo e da roboanti flatulenze al momento topico del "..watch me explode" prima del chorus.
Insomma gli AC/DC sono stati coverizzati milioni di volti, ma un tributo così sincero ed originale forse mancava all'appello e questo primo album non è che un tassello della discografia degli Hayseed Dixie, che tra pezzi propri e cover rivisitate di pezzi rock e pop hanno creato un vero e proprio genere, nonchè un seguito non indifferente nella scena alternativa, fuori dai soliti canoni del folk americano.
E' tempo di salopette in jeans, barbecue mastodontici di opossum e pessima birra!!! Folk & Roll!!!
www.hayseed-dixie.com
www.facebook.com/hayseeddixie
Hayseed Dixie – A Hillbilly Tribute To Acdc  (Spotify)


domenica 21 dicembre 2014

Will Be Christmas Mosche Di Velluto Grigio (autoprodotto 2014)













Natale si sa, ha sempre esercitato un fascino particolare con la sua tradizione e le sue atmosfere magiche. Anche le più scafate rockstar hanno sempre ceduto alla tentazione di riproporre qualche cover natalizia oppure regalare ai fans qualche inedito giusto per celebrare questa festa. La lista è lunghissima, si parte dai Twisted Sister fino ai Ramones, per non dimenticare Bad Religion e Pogues, questi ultimi poi raggiungono ogni hanno le toplist con la loro dissacrante Fairytale of New York.
Non vogliono essere da meno le Mosche di Velluto Grigio,band della Bassa Padana, di cui ho avuto modo di recensire mesi fa il loro ultimo album In te Ho Sognato.. , regalando ai propri fans questa strenna natalizia, disponibile proprio dal 23 dicembre sulle principali piattaforme digitali.
Will be Christmas vuole essere un tributo alla tradizione natalizia, ma anche un bel pezzo punk folk, nello stile delle Mosche, anche se rispetto alle recenti produzioni, la componente rock and roll è più marcata, lasciando comunque un bel tappeto di sottofondo alle cornamuse. L'inizio parte lento e soffuso, con la roca voce del Cagno che ha il compito di scaldare i motori, prima di partire a testa bassa come i migliori Dropkick Murphys o Bad Religion.
Inutile spendere troppe parole, Will be Christmas va ascoltato, assimilato e suonato, magari proprio la notte della Vigilia, dove tra un brindisi e l'altro ( Guinness o Whisky please!!) potrà scappare anche una pogata sotto l'albero prima di scartare i regali!
Buon Natale Mosche!!!
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martedì 17 giugno 2014

In Te Ho Sognato..In Te Spero di Morir Mosche di Velluto Grigio (autoprodotto 2014)












Rinasce sulle sponde del fiume Po, tra i suoi canneti ed ii filari di alberi, la tradizione folk italiana, un ideale ponte tra la Bassa Padana e la Verde Irlanda  che viene proposto dalle Mosche di Velluto Grigio, band che celebra il celtic folk (o anti folk come amano definirlo loro) tra poesia, rabbia ed alcol.
Avevo avuto modo di recensire il loro precedente EP ed ora, ecco tra le mani questo nuovo lavoro, dall'affascinante titolo "In Te Ho Sognato... in Te Spero di Morir", dodici brani che spaziano dal folk al punk con un occhio di riguardo ai testi che sfiorano il cantautorato e sanno ancora fare centro raccontando profonde storie che non mancheranno di lasciare il segno nell'ascoltatore.
L'intro The Bastards omaggia i Murphys più alcolici e sgangherati ed è un ottimo biglietto da visita delle MDVG che da qui in poi ci accompagneranno nel loro mondo, fatto di storie di strada, ricordi e personaggi lontani nel tempo che ricordano il Davide Van de Sfroos più intimo ed ispirato. Pezzi come Quell'Uomo a Varano o Il Capitano Jones sono affreschi intrisi di malinconia e ricordi che prendono vita grazie all'ottimo songwriting della band.
Ma c'è anche un'animo combat e ribelle, quello dei pugni chiusi in cima alle barricate come in 25 Aprile, belligerante ed anthemica che affonda i denti e le unghie nella memoria storica oppure in Gli Spari su Londra dove fa anche capolino il sax, strumento un pò atipico per questo genere, ma che conferisce alla band più spessore ed anche originalità.
Uno degli highlight del disco è Dolcissima Strega del Mare,  intensa e struggente ballad dai toni noir che mi ricorda molto i "sea shanties" del tempo che fu. Qui le liriche fanno davvero la differenza conferendo un aurea poetica e malinconica a questa splendida canzone.
Ci sono anche pezzi cantati in inglese, piccole schegge folk come A Long Lament for an Old Friend o Maggie Dickson's Pub che sa sconfinare in territori quasi reggae.
Con Occhi Chiusi da Un Pò si giunge verso la conclusione ed i Nostri si cimentano con successo nel creare la loro "and the Band Playing Waltzing Matilda", tanto crepuscolare quanto solenne nel suo incedere finale.
Andate a scoprire questa realtà tutta italiana, ascoltando la loro musica vi sembrerà di sorseggiare un buon whisky delle Highlands, forte e brusco al palato, come il vento che spazza quelle lande, ma che una volta assaporatolo per bene darà calore e conforto al vostro cuore solitario.
http://www.moschedivellutogrigio.com/
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domenica 10 novembre 2013

You'll Never Walk Alone/Eile's Diary Mosche di Velluto Grigio (Autoproduzione 2011)













Tempo fa mi sono imbattuto in un concerto delle Mosche di Velluto Grigio, folk band proveniente dalla rive del Po della Bassa Padana. La loro esibizione mi colpì oltremodo vista l'energia e la carica live profusa durante  il loro set e con mio stupore scoprii che la loro carriera si protrae da oltre dieci anni con diverse pubblicazioni in studio, rigorosamente autoprodotte.
La loro ultima fatica è questo EP di sei tracce intitolato You'll Never Walk Alone/Eile's Diary, prodotto dal polistrumentista scozzese Keith Easdale e ci presenta  una band con sonorità in bilico tra le pulsioni punk di Clash e Stiff Little Fingers e il folk di Pogues, Violent Femmes e gli italiani Modena City Ramblers.
Ci sono malinconiche ballate come Eilè e Vinèsa e altri pezzi più tirati come Fiore di Maggio e Il Marinaio di Limerick, splendide storie venate da malinconia resa ancor più evidente grazie ad innesti di sassofono, una peculiarità che rende le MDV ancor più particolari.
Il punto di forza della band è quello di scrivere, appunto, storie e metterle in musica, ballate che raccontano persone e personaggi, sensazioni che arrivano dirette al cuore lasciando la band in bilico tra il cantautorato e l'irruenza punk. Nelle loro canzoni ci sono personaggi che scappano dal loro destino e dai loro incubi (Eilè) oppure marinai che salpano per non tornare più indietro ( A Sud) ed altri che vorrebbero tornare dalla loro amata (Il Marinaio di Limerick). Ci sono ladri che vorrebbero rubare le guerre per lasciare la pace (Bonnie & Clyde) e magari festeggiare sotto cieli gonfi di pioggia con qualche birra in mano.
Provate quindi a cercare i loro album e inoltratevi in questo mondo di malinconiche canzoni punk e vederete che la musica delle Mosche di Velluto Grigio saprà rapirvi l'anima!
www.moschedivellutogrigio.com
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domenica 15 settembre 2013

Pints & Glory The Moorings (2011 LSP Records)












Nell'ultimo lustro abbiamo assistito ad una vera e propria ondata di Irish Folk revival, una scena che, anno dopo anno ha avuto un seguito incredibile, a partire dai capostipiti Dropkick Murphys e Flogging Molly, che hanno ripreso le linee dettate da Pogues, Waterboys e Dubliners qualche decennio prima.
Quindi non mi stupisco se mi trovo di fronte a gruppi nuovi legati a queste sonorità, provenienti anche da zone geografiche abbastanza inusuali per quel che riguarda la tradizione celtico irlandese.
E' il caso di questi The Moorings, giovane band proveniente dalla regione francese dell' Alsazia, vista in azione poche settimane fa e che ha all'attivo questo esordio discografico targato 2011.
Tre pezzi inediti ed una serie di tradizionali rifatti in versione punk formano l'album in questione che parte con l'inedita Friendship, veloce e sguaiata irish-punk song sulla scia dei maestri Flogging Molly, che tra l'altro verranno omaggiati con una cover della loro What's Left of the Flag.
Away from Home è il secondo inedito, anthemico e ritmato da cantare a squarciagola al bancone o sotto il palco, mentre Working Class Heroes è una power ballad con inserti tradizionali che danno spessore e calore al pezzo.
I testi dei The Moorings seguono il filone del genere con tematiche quali l'amicizia, i pub, l'alcool ed il lavoro visto come riscatto sociale.
Another long day on board this ship working like a mad dog
for every little money of course but al least it's an honest job
the pay goes out to the wife and kids to keep them safe afloat
it's been 7 days'n' couple of weeks and i haven't heard from both
When I wil lreturn to my loved ones?
I can't tell for sure but here's what i want
Gimme Booze Gimme Booze I'm away from Home
and there's nowhere else to go
Gimme Booze Gimme Booze I'm away from home
so let the liquor flow
Il resto dell' album come detto sopra è composto da rivisitazioni di brani tipici della tradizione irlandese, alcuni arcifamosi come The Wild Rover o Finnegan's Wake, altri invece più di nicchia come The Nightingale o All for me Grog, materiale che sicuramente farà felice i puristi del genere, sempre attenti a questi piccoli dettagli.
Se siete amanti del filone Irish-Punk tenete d'occhio questa giovane band, che, soprattutto dal vivo dimostra di avere ottima presenza scenica e coinvolgimento, peculiarità fondamentali per chi si cimenta in questo genere musicale!
P.s.
è da poco uscito anche un live, Unplugged @ La Cigale, dove i nostri si cimentano in versione acustica con il loro repertorio e alcuni classici in un atmosfera intima e calda che rievoca le session di un vero pub irlandese.
www.moorings-band.com
http://open.spotify.com/album/4ko1mlr25EGedJZuUtokre







mercoledì 4 settembre 2013

Mat e Famat I Luf ( Self 2013)












A volte certi incontri sono dettati dalla pura casualità, il trovarsi al posto giusto ed al momento giusto, il riuscire a cogliere l'attimo ed avere la fortuna di assistere ad un concerto memorabile.
Così è stato per me con i Luf, lo scoprirli per puro caso ad un festival musicale un pomeriggio estivo in riva al lago e da lì iniziare a scoprire i loro dischi ed a seguire le loro date su e giù per il nord Italia.
Dopo lo spettacolare Flel, ultimo album in studio targato 2010 ed un successivo tributo a Guccini, i "lupi" sono scesi ancora dalla loro Val Camonica, sempre più affamati di musica e pronti a mostrare i denti ( in senso buono) anche se con qualche pelo ingrigito.
Il risultato? uno dei migliori album folk che siano stati prodotti negli ultimi tempi, con davvero tanta carne al fuoco, nuove storie da raccontare e quella voglia di far ballare la propria gente anche in tempi dove c'è poco da star allegri.
Ritengo Dario Canossi, voce e leader della band uno dei migliori cantastorie in circolazione, capace di far divertire, ma anche di far pensare con il suo modo diretto di interpretare le proprie canzoni sempre intrise di impegno sociale e voglia di riscoprire le proprie semplici ed umili radici.
Basti pensare al titolo stesso di questo album, Mat e Famat ovvero "matto e affamato" per chi non mastica il camuno, che tanto ricorda quello "stay hungry, stay foolish" di Steve Jobs che va a costruire un ponte ideale tra le valli bresciane e gli Stati Uniti d'America, legame rafforzato ancora di più dalla finale Le Al de Legn che non è altro che American Land di un altro nome noto a stelle e strisce, Bruce Springsteen.
In mezzo tanta Irlanda, tanto country e tanto impegno sociale come in Ballata per Vik, dedicata a Vittorio Arrigoni, volontario di Emergency ucciso lo scorso anno in Palestina.
La canzone è scritta a quattro mani insieme alla mamma di Vittorio ed è tanto bella quanto amara.
hanno fuso piombo e sangue nella sabbia hanno spento le fontane
queste guerre fatte in nome della pace sono luride puttane
cristo a piedi nudi cammina in Palestina
ma una stella con sei punte gli ha spento la mattina
Questa è solo una delle numerose collaborazioni che contraddistinguono i dischi dei Luf e, se in passato avevano partecipato al banchetto amici come Davide Van De Sfroos o i fratelli Severini (Gang), questa volta troviamo i ticinesi Vad Vuc (la fanfara di Quando la Notte Piange) o il folk rocker Daniele Ronda che fa da special guest nell'indiavolata Trebisonda.
Il dialetto camuno è sempre ben presente, come nella titletrack o nell'iniziale Oroloi, surreale descrizione di un orologio a tre lancette per non gettare ulteriormente il nostro tempo al vento e poter carpire la felicità.
Anche Barbos Barbel Barbù è caratterizzata dal dialetto e si ispira ad una storia vera, una storia di diserzione dalla guerra, altro argomento che Canossi tratta spesso nei suoi brani, ispirandosi alla memoria storica per raccontare gli orrori dei conflitti, in particolare La Seconda Guerra Mondiale, ripresa anche in brani come Lungo la Linea del Don e Giuda della Neve.
piangon le scarpe dei vecchi lungo la linea del Don
son partiti vecchi ora son bambini lungo la linea del Don
negli occhi il sangue che scorre amaro lungo la linea del Don
nel cuore gli occhi del loro amore lungo la linea del Don
A conti fatti quello che ho sempre apprezzato nei Luf è la loro semplicità nel raccontare grandi storie,nel dar speranza alla gente riempiendo le piazze e i palazzetti per farla divertire,pensare e sognare.
E questo è un pò il pensiero che emerge in Camionisti, la loro autocelebrazione, dove si definiscono appunto condottieri di un carrozzone folk che vuole distribuire canzoni e sogni.
sotto gli occhi stanchi
risate da ribelli
passati tempi buoni
arrivan quelli belli
questo è il mio mestiere
scrivere canzoni
e abbottonarle strette
ai vostri sogni
Per quel che mi riguarda questo è il miglior album dei Luf, suoni perfetti e songwriting elevato che raggiunge il perfetto connubio tra impegno e goliardia, ma soprattutto è un album che sgomita per uscire dai confini territoriali e del folk in generale. Che sia arrivato anche il loro momento per fare il grande salto...
P.S
Non scaricate questo o gli altri dischi dei Luf!! Andate ai loro concerti e recuperate gli originali, splendidi digipack curati in ogni dettaglio che faranno la gioia di chi ha sempre avuto la nostalgia del vinile.
Son piccole gioie anche queste!
www.iluf.net
www.facebook.com/BrancoDeiLuf
spotify:album:1QrLR6FPno10I7CeyHCurJ

lunedì 14 gennaio 2013

Live in Paris The Pogues (Universal 2012)

Qualche anno fa ebbi la fortuna ( o sfortuna..dipende dai casi) di assistere all'unica data italiana dei Pogues, in un afosa sera di giugno, rinchiuso dentro il PalaTrussardi-Sharp-Vobis di Milano . Devo dire che l'attesa spasmodica di vedere una delle mie band preferite fu vanificata da una prestazione alquanto scadente del gruppo irlandese, con lunghe pause, errori e cadute di stile, che, se da una parte mi fecero sorridere, dall'altra delusero non poco le aspettative di chi li considerava un eccellente macchina live.
Pochi mesi fa ecco uscire questo appetitoso cofanetto che raccoglie gli sforzi per celebrare una carriera trentennale, condizionata da numerosi alti e, purtroppo bassi, ma che ha reso questa band uno status symbol per tutto il movimento punk-folk di matrice irlandese che negli ultimi anni ha preso piede un pò ovunque.
Parto subito col dire che il box è formato da due Cd che riprendono l'esibizione live all 'Olympia Theatre di Parigi, risalente allo scorso settembre e da altrettanti DVD che ci ripropongono il concerto integrale più alcuni documentari di emittenti francesi risalenti alla metà degli Anni Ottanta, sicuramente il climax artistico e commerciale della band.
Che dire..il prezzo ne vale tutto e mi ha fatto dimenticare quella pietosa esibizione di qualche anno fa a Milano. Certo la tecnologia aiuta parecchio con ottime riprese e i suoni "addomesticati", ma su quel palco ho ritrovato una band in forma strepitosa, sicuramente migliorata  e più coesa dopo il lungo periodo da separati. Il leader Shane MacGowan paga il dazio degli anni e degli abusi, ma non sarebbe lui senza la sua camminata traballante, la sua voce sbiascicata e l'eterna sigaretta accesa tra le dita mentre impugna il microfono. Ma sul palco c'è e lascia vedere tutto il suo carisma lasciandosi andare ad interpretazioni maestose dei classici della band. Anche il resto dei Pogues è ben rodato, a partire dall'altra anima della band, quello Spider Stacy che provò a far andare avanti la band pur senza il suo leader alcolico e qui, canta un paio di pezzi con la sua inconfondibile voce roca.
I classici della band ci sono tutti e non sto a dire cosa è venuto bene e cosa no...godetevi il concerto nella sua interezza, lasciandovi trasportare dalla magia della poesia alcolica del gruppo irlandese, sognando di essere li, in mezzo al pubblico a pogare e sudare sotto il palco, ed  anchese, Kirsty Maccoll non c'è più, vi ritroverete commossi nel vedere il balletto tra Shane ed Ella Finer (la figlia di Jem Finer, banjo e mandolino) sulle note finali di Fairytale of New York.
E a proposito di finale...come non chiudere in bellezza con Fiesta dove tra coriandoli e stelle filanti si celebra la chiusura di una reunion epocale in un mix di bagordi alcolici in salsa spagnoleggiante/irlandese.
Ancora una volta grazie ...alzo l'ennesima pinta in vostro onore al grido di Pogue Mahone!!!!!!
www.pogues.com
spotify:album:1aswgwvlGy5JWBhodmCRoq













lunedì 9 gennaio 2012

Just Look Them Straight in the Eyes and Say...Pogue Mahone!!!!! The Pogues

Se negli ultimi anni abbiamo assisitito ad una vera e propria ondata di bands appartenenti al filone celtic-punk rock ( Dropkick Murphys, Flogging Molly, The Mahones su tutti) lo si deve in gran parte a chi, senza dubbio, è stato il capostipite di questo genere: i Pogues!
Nati intorno ai primi anni Ottanta grazie all'incontro  tra uno sbandato irlandese di nome Shane MacGowan ed un gruppo di musicisti di strada, che si esibivano come buskers per le strade di Londra,i Pogues ebbero l'idea di coniugare l'irruenza e l'irriverenza del movimento punk rock con la tradizionale musica irlandese, ovvero il retaggio culturale caro a chiunque provenga dall'Isola di Smeraldo.
Il primo nucleo della band si fa chiamare The Nipple Erectors per poi cambiare il nome  in Pogue Mahone ( espressione gaelica che sta a significare "Baciami il Culo") ed al momento della firma di un contratto discografico nel più ragionevole ed inoffensivo The Pogues.
Grazie al supporto di personaggi come Elvis Costello e Joe Strummer, la band inizia ad esibirsi regolarmente per Londra inizialmente, e poi per tutto il Regno Unito, facendosi notare ed ampliando sempre di più la schiera dei consensi.
Se negli anni Settanta i Dubliners furono i primi ad esportare e rendere commerciale la musica tradizionale, ora tocca ai Pogues riformularla per poterla tramandare anche alle nuove generazioni. Il primo album esce nel 1984 e si intitola Red Roses for Me e, nonostante sia ancora presente un suono acerbo, figlio di strada ed anarchia, si denota già il marchio di fabbrica che contraddistinguerà la band irlandese: pezzi veloci e più frenetici arricchiti dalla voce sguaiata ed alcolica di Shane MacGowan, alternati da ballad malinconiche da pub. La maggior parte dei pezzi sono tradizionali riarrangiati dalla band stessa dove in alcuni casi vengono anche cambiati i testi per renderli più duri ed irriverenti, ma troviamo anche i primi brani originali scritti da MacGowan, come Transmetropolitan, ovvero una delle tante dichiarazioni d'amore-odio verso Londra che scriverà durante la carriera e Stream of Whiskey (dedicata al poeta Brendan Behan), che sarà fissa durante i live.
 
Il songwriting di MacGowan è fluido e molto articolato, ricco di espressioni "slang" molto colorite e continui riferimenti letterari con citazioni di   Yeats o Behan, una caratteristica che con il tempo eleverà il cantante a poeta di strada, molto amato dai suoi connazionali, nonostante i suoi eccessi.
Il secondo album esce un anno dopo e si intitola Rum, Lash and Sodomy ed è prodotto da Elvis Costello e con questo disco avviene il salto di qualità sia a livello compositivo che a livello di suoni, che finalmente rendono giustizia alle escuzioni della band.
La formula è la stessa, pezzi tradizionali riarrangiati ( Dirty Old Town, Jesse James, Wild Cats of Kilkenny) alternati a composizioni nuove tra cui The Sick Bed of Cuchullain, Sally MacLennnane e la splendida ballata A Pair of Brown Eyes. Il finale è per la lunga  The Band Played Waltzing Matilda, canzone antimilitarista che denuncia una delle peggiori battaglie perse dall'esercito inglese, dove morirono migliaia di soldati irlandesi ed australiani al servizio della Union Jack e l'interpretazione di Shane è davvero toccante.



Nonostante il successo in ascesa, la carriera dei Pogues è fatta di fasi altalenanti causate dalle condizioni di Shane MacGowan, dedito all'abuso più estremo di alcool che mina oltremodo la sua salute e le sue performances dal vivo, spesso interrotte a metà viste le condizioni pietose in cui sale sul palco; ma anche le sue continue assenze in sala prove o in studio di registrazioni fanno slittare le attività della band e bisognerà aspettare il 1988 per vedere il terzo full lenght della band. In precedenza viene dato alle stampe un EP di quattro tracce, Poguetry in Motion che racchiude una delle più belle e struggenti canzoni che i Pogues abbiano mai scritto: A Rainy Night in Soho.

I've been loving you a long time
Down all the years, down all the days
And I've cried for all your troubles
Smiled at your funny little ways
We watched our friends grow up together
And we saw them as they fell
Some of them fell into Heaven
Some of them fell into Hell

I took shelter from a shower
And I stepped into your arms
On a rainy night in Soho
The wind was whistling all its charms
I sang you all my sorrows
You told me all your joys
Whatever happened to that old song
To all those little girls and boys

Now the song is nearly over
We may never find out what it means
But there's a light I hold before me
And you're the measure of my dreams
The measure of my dreams

Sometimes I wake up in the morning
The gingerlady by my bed
Covered in a cloak of silence
I hear you in my head
I'm not singing for the future
I'm not dreaming of the past
I'm not talking of the fist time
I never think about the last

Now the song is nearly over
We may never find out what it means
Still there's a light I hold before me
You're the measure of my dreams
The measure of my dreams


If I Should Fall from the Grace of God  vede la luce nel 1988 ed è uno dei migliori successi commerciali della band grazie anche alla ballad Fairytales of New York resa celebre dal duetto MacGowan-Kirsty MacColl e diventata con gli anni "la canzone di Natale" nonostante il testo dai toni molto colorati, spesso censurato dalla BBC inglese

You're a bum
You're a punk
You're an old slut on junk
Lying there almost dead on a drip in that bed
You scumbag, you maggot
You cheap lousy faggot
Happy Christmas your arse
I pray God it's our last





 Ma aldilà di questo fortunato singolo, all'interno di questo album c'è parecchia carne al fuoco, alcune delle canzoni più famose che i Pogues abbiano mai scritto, ma soprattutto sonorità nuove che vanno  a legarsi col tradizionale folk irlandese. L'esempio più lampante è Fiesta con la sua andatura chiassosa e dirompente con i continui rimandi alla Spagna ed al mondo latino in generale. Anche la titletrack è uno dei pezzi forti du questo album, da anni opener dei concerti della band, mentre la rivisitazione di Thousand are Sailing è solo l'ennesimo highlight di un disco che merita di entrare di diritto nella storia della musica.
L'anno successivo viene pubblicato Peace and Love, che purtroppo, nonostante alcuni pezzi buoni darà inizio alla fase discendente della carriera dei Pogues. Il disco in questione è altalenante dato che, a fianco di intense songs come Young Ned of the Hill o Misty Morning Albert Bridge ( una delle più belle ballad del repertorio dei Pogues) troviamo pezzi molto più fiacchi, frutto di esperimenti per sondare nuove sonorità ma che non riescono a lasciare il segno. Chiude il disco London You're a Lady,l'ennesimo tributo di amore/odio verso la metropoli inglese.
Purtroppo la dipendenza da alcool di MacGowan sta per arrivare al suo culmine e Hell's Ditch è il canto del cigno del vocalist irlandese, licenziato poco dopo per la sua condizione. Il disco ne risente parecchio di questa influenza negativa e ne risulta stanco e scarno di idee. Alla consolle si presenta Joe Strummer e non si può dire che il suo lavoro sia eccelso. Tra l'altro l'ex leader dei Clash si imbarcherà in un breve tour proprio per sostituire Shane MacGowan alla voce.
Tra gli Highlights segnalo The Sunnyside of the Streets e the Ghost of a Smile, ma purtroppo questo non sarà uno dei dischi per cui verranno ricordati i Pogues.
Per la cronaca la band realizzerà negli anni a venire altri due album ( Waiting for Herb e Pogue Mahone) con Spider Stacy alla voce, ma senza l'icona MacGowan la carriera della band si eclisserà verso un lento oblio rivitalizzata solo dalla recente reunion che ha riportato il nome dei Pogues sui cartelloni dei più importanti festival mondiali.
Proprio in questi giorni esce un cofanetto di cinque cd ( più un ampio booklet) che ripercorre la carriera della band: un ottimo modo per i neofiti alle prese con il celtic-folk punk (per gli amanti delle etichette) e per conoscere una fetta importante di storia di musica irlandese

www.pogues.com
A parting glass: Poguetry (un sito dove spulciare tra i testi di MacGowan per approfondire la sua poesia)



            

martedì 27 dicembre 2011

La Diserzione degli Animali del Circo Yo Yo Mundi (EMI Music 1994)












Era la metà degli anni Novanta ed in Italia si respirava un fermento creativo e musicale di profondo rinnovamento e voglia di osare, soprattutto all'interno di quel movimento cosiddetto underground. Decine di band formate da ragazzi di provincia iniziarono a girare su e giù per la Penisola proponendo una ventata di musica fresca e spontanea come non mai si era vista da noi.
Ho un bel ricordo di quegli anni, concerti e gruppi da scoprire che avevano davvero tanto da dire e rabbia da sfogare: i centri sociali come punto d'inizio e l'epilogo con le major che ristamparono interi cataloghi, passando per il palco della Max Generation a Sonoria nel 1995.
Tra i dischi che più ho apprezzato in quel periodo ecco La Diserzione degli Animali del Circo, primo album dei piemontesi YoYo Mundi, una splendida realtà in bilico tra pulsioni rock e folk ruspante, tra il cantautorato e la protesta sociale.
Un album sincero ed intenso che racconta tra le sue righe storie di personaggi disparati, un circo di emozioni e colori che vuole fare pensare l'ascoltatore oltre a farlo divertire.
Venghino signori, Venghino,come direbbe Paride Orfei, invitando il pubblico ad assistere allo spettacolo del suo Circo, il primo senza animali, disertori stanchi di essere sfruttati e maltrattati.
Ma il  Circo può essere bello anche senza i leoni: ed ecco la Contorsionista con le sue evoluzioni o L' Acrobata che volerà sempre più in alto fino a raggiungere le stelle. Tra il pubblico ci sono  i "ragazzi con le basette diseguali", quelli che  non vogliono seguire la massa di loro coetanei tra discoteche e fast food, ma vogliono vivere la loro vita senza piegarsi alle mode ed alla pubblicità. C'è anche un bambino solitario e taciturno, che vorrebbe ridere e divertirsi come gli altri, ma è cresciuto ascoltando animali urlare e morire, perchè è il Bambino del Macello, ma magari quella banda sghangherata di ciclisti (Bicicleta Basca) gli strapperà un sorriso. Il ciclismo è davvero uno sport di provincia, lontano dalle metropoli calcistiche e lo sa la Freccia Vallona che corre a rotta di collo per i tornanti delle Fiandre.
Quante storie vengono raccontate in questo album, quante fiabe che fanno sorridere e fanno commuovere, ballate di campagna ma con l'occhio lungo verso l'Europa senza dimenticare che dietro il bancone del mixer si è seduto Brian Ritchie dei Violent Femmes, altri buskers mica da ridere.
Visto che in questi ultimi anni il movimento folk-rock è tornato in auge, vi propongo di andare a rispolverare questo album, forse pioniere in quegli anni (insieme ai Modena City Ramblers) di un movimento che è poi esploso tempo dopo!
Andeira!!!!!!
www.yoyomundi.it
www.myspace.com/yoyomundi