sabato 23 marzo 2013

Play the Funk The Full Treble (Moquette Records 2012)












E' sempre la Brianza che mi regala qualche chicca musicale, che affiora setacciando quà e la l'underground locale. Già in passato avevo speso lodi per il proliferare di un'attiva scena musicale in questa zona della Lombardia e noto che con il passare del tempo, il fermento sonoro non va certo scemando.
Ora è il turno dei Full Treble, punk rock trio che vanta nel suo curriculum un debutto discografico sotto Poison Tree Records, etichetta losangelina di  culto specializzata in garage punk.
Ora, questa seconda fatica datata 2012, esce per Moquette Records, label che da qualche anno si rivela molto attenta al sottobosco musicale locale e questo Play the Funk ne conferma il fiuto eccezionale per la buona musica.
Comincio subito a dire che di funk non c'è assolutamente nulla, ma ci troviamo di fronte ad una mezz'ora abbondante di garage/punk rock tirato che mi ricorda molto bands come New Bomb Turks e Rocket from the Crypt, soprattutto per gli inserti di tromba ben innestati in alcuni brani, come la title track o Deaf Stone Blues, il brano più lungo con il finale spettacolare con tromba e piano honky tonky.
I suoni sono perfetti e gli undici brani presenti hanno un ottimo tiro, con in evidenza il basso martellante e metallico che salta subito all'orecchio per l'ottimo lavoro che svolge.
Il mio pezzo preferito è Endless Routine, di cui tra l'altro è stato girato anche un video, legnata punk rock veloce e sguaiata con un miniassolo che avrebbe fatto la gioia di qualsiasi punk rocker Anni Novanta fan delle uscite targate LookOut Records.
Ad ogni modo andate a sentirvi il disco in questione, diponibile in streaming anche sul sito della band e vedrete che non vi annoierete di certo!!!
Ancora cose buone dalla Brianza Rock!!!
Play the Funk disponibile in streaming
https://www.facebook.com/TheFullTreble


mercoledì 6 marzo 2013

Have You Ever Seen the Rain? A post about Credeence Clearwater Revival














Ho sempre pensato ai Creedence Clearwater revival come ad una band imprescindibile, uno di quei gruppi le cui canzoni le conosci da sempre e, soprattutto le conoscono tutti, un pò come i Ramones per il punk o i Deep Purple per l'hard rock. Complici alcune hit (nel loro caso una abbondante mezza dozzina) che hanno strapazzato le classifiche quasi cinquant'anni fa, diventando cosi patrimonio della memoria collettiva del popolo rock e non solo, i CCR sono stati una fulgida meteora che ha brillato per circa un lustro, ma i bagliori che ha lasciato dietro di se si percepiscono ancora a distanza di decenni.
La band, guidata dai fratelli Fogerty, in particolare da John si affaccia verso la seconda metà degli anni Sessanta, in un panorama musicale in fermento per la nuova era psichedelica, dove i mostri sacri, in preda agli eccessi lisergici si lasciano andare a lunghissime suite musicali e la controcultura hippie la fa da padrona.
Ecco, in questo contesto i CCR si riappropriano delle radici musicali dell'America, quella "roots music" che abbraccia il blues del Delta, il folk, il country sudista ed il buon rock and roll del decennio precedente. Praticamente una mosca bianca che offre hit da pochi minuti, senza assoli ma dall'impatto devastante, destinate a diventare dei capolavori immortali.
L a sezione ritmica è il punto di forza: scarna, semplice ma che colpisce diretta al punto, facendo muovere mani e piedi. La voce di Fogerty è un urlo rauco, figlio delle paludi della Louisiana, patria di blues e voodoo, tanto che nel loro primo album viene coverizzata I Put a Spell on You di Screaming Jay Hawkins, vecchio cerimoniere della Musica del Diavolo. Le chitarre strimpellano accordi semplici e lineari come nella migliore tradizione folk-country, basti pensare a Proud Mary, la loro hit di maggior successo, presente nel loro secondo album, un tributo al Grande Fiume, il Mississippi, fonte di ispirazione e di vita, una colonna sonora per qualsiasi aspirante Huckelberry Finn.
Nonostante quelli furono anni di gran fermento politico e sociale, i CCR si distanziarono dagli intellettualismi della scena musicale, preferendo di gran lunga suonare, facendosi conoscere un pò dappertutto: una vera attitudine "Working Class" che costò a loro parecchie critiche, figlie di un epoca dove l'importante era schierarsi. A loro modo però, John Fogerty e soci riuscirono ad esprimere il loro messaggio sociale, soprattutto nel  quarto album "Willy and the Poor Boys", dove per la prima volta si tratta il tema della guerra, come nella hit rock and roll Fortunate Son
Some folks are born made to wave the flag,
Ooh, they're red, white and blue.
And when the band plays "Hail to the chief",
Ooh, they point the cannon at you, Lord,
It ain't me, it ain't me, I ain't no senator's son, son.
It ain't me, it ain't me; I ain't no fortunate one, no,
Yeah!

Some folks are born silver spoon in hand,
Lord, don't they help themselves, oh.
But when the taxman comes to the door,
Lord, the house looks like a rummage sale, yes,
It ain't me, it ain't me, I ain't no millionaire's son, no.
It ain't me, it ain't me; I ain't no fortunate one, no.

Some folks inherit star spangled eyes,
Ooh, they send you down to war, Lord,
And when you ask them, "How much should we give?"
Ooh, they only answer More! more! more! yoh,
It ain't me, it ain't me, I ain't no military son, son.
It ain't me, it ain't me; I ain't no fortunate one, one.
It ain't me, it ain't me, I ain't no fortunate one, no no no,
It ain't me, it ain't me, I ain't no fortunate son, no no no

La denuncia al sistema è palese e diretta e anche i critici più strenui iniziano a capire la portata di successo di una band  come i Creedence.
Il disco successivo Cosmo's Factory è da considerare il capolavoro della band, un album completo e maturo che mostra tutte le sfaccettature che hanno delineato le caratteristiche dei CCR, trainato dal singolo Who'll Stop the Rain, arioso e melodico ma pungente contro la guerra, rimane il più grande successo commerciale di Fogerty e soci. La versione "espansa" di I Heard it Through the Grapevine è monolitica cosi come la ballata soul  Long as I can See the Light, impreziosita da un solo di sax che le conferisce un mood molto notturno e noir. Il rock and roll sfrenato viene citato da Travellin Band, manifesto della vita on the road  di chi ha scelto di fare il musicista, mentre Run to the Jungle è l'ennesima invettiva anti Vietnam.
Purtroppo quando arrivi in alto puoi solo scendere e da questo momento inzia la parabola discendente dei CCR, che fanno altri due dischi fiacchi e poveri di idee (anche se riescono a regalare un altra perla: Have You Ever Seen the Rain) prima di sciogliersi definitivamente dopo un quinquennio di piena attività.
Da qui in poi ognuno dei musicisti coinvolti prenderà strade diverse, anche se solo John Fogerty riuscirà a costruirsi una carriera di tutto rispetto, a conferma del fatto che la mente dietro la band era lui, autore di gran parte dei pezzi e cuore pulsante ei Creedence.
Cosa rimane a questo punto? Una grande, enorme eredità musicale che va aldilà dei singoli brani, ma che getta un ponte tra la tradizione americana ed il rock and roll e si protrae avanti per oltre cinquant'anni, influenzando schiere di musicisti a venire. Basti pensare a quante band hanno coverizzato i pezzi dei Creedence: da Springsteen ai Ramones passando per Dropkick Murphys (tra le nuove leve) fino a Lucio Battisti.
Forse l'appellativo di American Band calza davvero a pennello su di loro, i primi a portare al grande pubblico quell'immaginario fatto di Route 66, Nevada, Elvis Presley, New Orleans e la Louisiana,il Delta del Grande Fiume e le camicie di flanella  in un epoca dove la bandiera a stelle e strisce era un peso da portare tanto quanto la loro presenza a Woodstock, una sfida vinta verso chi li osteggiava per non schierarsi apertamente con la rivoluzione.

Put a candle in the window, but I feel I've got to move.
Though I'm going, going, I'll be coming home soon,
'Long as I can see the light.

Pack my bag and let's get movin', 'cause I'm bound to drift a while.
Well I'm gone, gone, you don't have to worry no,
'Long as I can see the light.

Guess I've got that old trav'lin' bone,
'cause this feelin' won't leave me alone.
But I won't, won't be losin' my way, no, no
'Long as I can see the light.

http://creedence-revisited.com/
http://www.johnfogerty.com/

































sabato 23 febbraio 2013

Columbus Way Smokey Fingers /Tanzan Musica 2011)












E poi venne quel giorno in cui, su una solitaria strada delle lande americane, a cavallo di una potente Harley Davidson, ci si trova davanti alla Columbus Way , che fa attraversare tutti gli  States, il deserto, fa tappa in quel roadhouse per rifocillarsi e riposare un poco, prima di riprendere il viaggio ed arrivare...a Lodi!
E si, perchè gli Smokey Fingers sono un quartetto lodigiano ma che ha tanta America nel cuore e lo dimostra con questo album, edito da Tanzan Music, dove viene messa in musica tutta la passione per un certo tipo di hard rock debitore di influenze come Lynyrd Skynyrd, Allmann Brothers, Molly Hatchet e ZZ Top.
Dodici tracce ben suonate, con una resa sonora degna di tal nome che riportano le emozioni lungo le assolate strade degli Stati Confederati: Old Jack è un opener muscolosa che da l'idea di quello che ci si parerà davanti nel nostro viaggio: Riff quadrati, una voce calda e graffiante, una sezione ritmica robusta e assoli di chitarra di pregevole fattura.
Per dare un tocco soul al tutto ci sono backing vocals femminili, come in The Good Countryside o inserti di Hammond ( come nella bellissima Born to Run) che scaldano il cuore come un buon bicchiere di whisky.
Gli Smokey Fingers hanno un anima rock and roll e ce la mostrano in quel piccolo gioiello che svetta su tutto l'album: Sweet Tears, una ballad intensa, la loro "Free Bird" personale che riporta la mente indietro nel tempo, quando si era bambini e le giornate erano piene di sole.
 I remember the Christmas snow,
in my bed waiting for the Lord
I remember
one gift that will never come

when the corn was corn
and the Rock was “The Rolling Stones”
when a friend was friend
and the future
was to become like Superman.

Where is that child
who wanted to live forever
Like in a fairytale
Because a dream is better

C'è tempo anche per la cover di turno, quella Country Road, scritta da James Taylor e rivisitata in chiave hard rock, prima di affidarsi alla doppietta di chiusura Crazy Woman e Devil's Song che pongono il sigillo su un album bello, diretto ed onesto.
Gli Smokey Fingers non scoprono certo l'acqua calda, ma è dannatamente bello immergersi in una vasca bollente e lasciarsi andare alle melodie che i nostri hanno saputo creare.
E' proprio vero...il rock and roll non è morto, basta solo saperlo cercare!!!
www.smokeyfingers.com 
www.myspace.com/smokeyfingersband
 www.facebook.com/smokeyfingers 
spotify:album:4o4aMRUPWOrJQtjBPcOrpi





venerdì 8 febbraio 2013

Signed and Sealed in Blood Dropkick Murphys (Born & Bred Records 2013)












Avevamo lasciato i Dropkick Murphys con la loro ultima fatica, quel Going Out in Style che ha permesso loro di raggiungere il Top 10 della classifica di dischi più venduti negli States e di dividere il palco con Bruce Springsteen, nella sua data a Boston,città natale della band. Certamente lo sforzo compositivo per concepire  quel disco è stato enorme ma, a distanza di due anni, ecco la loro ultima fatica intitolata Signed and Sealed in Blood, anticipato dal singolo Rose Tattoo, che mi ha fatto ben sperare, vista la qualità del brano.
Sonorità vicine al folk scanzonato ed alcolico dei Pogues, un ritornello accattivante e ripetuto all'infinito come un mantra e una dedica/ringraziamento a tutti i fan più fedeli, quelli disposti a tatuarsi il logo della band, proprio come vecchi pirati che scrivono la propria vita sulla pelle.

This one means the most to me
Stays here for eternity
A ship that always stays the course
An anchor for my every choice
A rose that shines down from above
I signed and sealed these words in blood
I heard them once, sung in a song
It played again and we sang along

You’ll always be there with me
Even if you’re gone
You’ll always have my love
Our memory will live on

Sicuramente questo brano diverrà un cavallo di battaglia della band, come l'iniziale The Boys are Back, agguerrita street punk song infarcita da cori da stadio, ideale per cominciare la battaglia sotto il palco.
Ma il resto dell'album? purtroppo mi duole dirlo, ma suona scontato e fiacco, una serie di brani filler che non hanno la caratura del passato. Sia chiaro che non è una stroncatura, perchè la carica della band è sempre presente, ma per fare un esempio diretto, The Prisoner's Song  ricalca il solco di I'm Shipping Up to Boston, bella e danzereccia ma già sentita.
Burn e The Battles Rages On sono tra i pezzi più tirati e scivolano via come la prima pinta di Guinness della sera, mentre la parte più folk è per Jimmy Collins Wake, dedicata ad una stella del baseball statunitense, autentica passione per i Murphys ( che per chi non lo sapese sono tifosi dei Red Sox).
I momenti lenti sono per la "Christmas song"  The Season Upon Us che celebra il rito delle festività in Irish Style (spassoso il video  http://www.youtube.com/watch?v=qTx-sdR6Yzk&noredirect=1) e per la finale End of the Night che, anche qui fa l'eco alla leggendaria Kiss me I'm Shit Faced senza però riuscire ad eguagliarla.

Solitamente in questo spazio scrivo dei dischi che mi piacciono e che mi emozionano, ma come mi è capitato per l'ultimo dei Gaslight Anthem, mi trovo a parlare di lavori buoni ma che non lasceranno il segno, capitoli singoli a parte.
Per quel che riguarda i DKM  ci hanno abituato a lavori eccezionali, alternati a dischi più interlocutori e quindi, alla luce dei fatti, aspetterò con fervore la loro prossima pubblicazione!
http://www.dropkickmurphys.com/
http://www.myspace.com/dropkickmurphys
https://www.facebook.com/DropkickMurphys
spotify:album:1FTaZvL4F3DcYsvAmNbysn



martedì 29 gennaio 2013

Unprofessional Performances Sick Boys (autoprodotto 2012)












Nel sagace e sarcastico umorismo tutto toscano, i Sick Boys, provenienti da Grosseto, definiscono il loro stile con il termine di "Gangsta Punk" ovvero " un garbato punk rock assolutamente non professionale".
Etichette a parte, questo  è il primo EP per questa band, attiva già da diversi anni come Tributo ai Social Distorsion e che finalmente vuole mettersi in mostra con musica propria.
Lodevole iniziativa questa che a conti fatti ha dato i suoi buoni frutti: i cinque pezzi presenti sul cd, se da una parte sono debitori del sound della band che ha maggiormente influenzato i gusti musicali dei Sick Boys, dall'altra mostrano buone idee e tanta qualità che sicuramente fanno ben sperare per il futuro.
Sfido chiunque, dopo pochi ascolti, a non canticchiare il ritornello di Contradictions of my Town, tanto melodica, tanto piccata nello scagliarsi contro la triste realtà del vivere in provincia e della fatica di poter trovare un buco per suonare dal vivo in questo Paese.
Le successive Lovin' me e Pull Your Socks Up Boy sono molto Mike Ness-oriented anche se lo stile della band riesce sempre ad affiorare, mentre la conclusiva  Unprofessional Performances affonda i denti nel vecchio punk di clashiana memoria.
Diciamo che le basi sono gettate e questo EP è un ottimo trampolino di lancio sia per farsi conoscere  che per migliorare e creare uno stile più personale che sicuramente verrà fuori continuando su questa strada!
Non perdeteli dal vivo!!!
Sick Boys-Facebook

mercoledì 23 gennaio 2013

Victoria! The Downtown Struts (PiratePress Records2012)












Se l'anno scorso rimasi folgorato dai Nothington, è ancora la scena di Chicago a regalarmi grandi sorprese con questo album dei The Downtown Struts che, per quel che mi riguarda sono la rivelazione dell'anno appena conclusosi.
Avevo sentito parlare di questi ragazzi, complici un paio di tappe italiane del loro tour europeo di supporto a Bouncing Souls prima e Street Dogs dopo, ed eccomi quindi entrare in possesso dellla loro ultima fatica che scorre via davvero bene nell'abbondante mezz'ora di durata.
Sicuramente il sound è influenzato dai sopracitati Nothington, soprattutto nell' alternanza del cantato a due voci, anche se sono più leggerini rispetto ai loro concittadini. L'ombra dei Rancid, soprattutto quelli di "...and Out Comes the Wolves" fa spesso capolino, ma nonostante i rimandi del caso il suono dei TDS scorre via fresco, veloce e melodico.
I ragazzi ci sanno fare ed il singolo Anchors è un buon antipasto per capire le coordinate della band: linee melodiche di chitarra che si rincorrono e ritornelli che si ficcano in testa dopo pochi ascolti, pochi accordi in piena etica punk rock, ma tanta melodia di fondo che fa di Victoria un disco irresisitibile.
Back to N.Y. e Tim sono dei piccoli affreschi di vita metropolitana, delle "Postcards" ( come il titolo del secondo brano della tracklist) della loro città che regala momenti di ispirazione, spesso venata da una forte malinconia ed a un senso di alienazione dalla società.
"Take a breath, set the record straight
 My only vice is a quick escape from
 Anything that keeps me from
 Leaving my Home"
queste lyrics sono tratte da Rogues, forse uno dei pezzi più "nothingtoniani" dell'album tanto è aggressiva e potente la carica che emana questa canzone.
Uno dei picchi di questo album è senza dubbio Rocca Ave., una ballata elettrica che paga dazio ai Social Distorsion ed alla tradizione americana, impreziosito anche da un Hammond come sottofondo, strumento alquanto atipico per una punk band, ma che in questo caso allarga parecchio gli orizzonti musicali dei The Downtown Struts.
Per tutti quelli che adorano il punk veloce e stradaiolo direi che questo è un ascolto obbligato, anche perchè questi ragazzi hanno già ottenuto parecchi riscontri negli ultimi mesi e non mi stupirei, tra qualche anno,di ritrovarli tra le punte di diamante della scena punk rock mondiale.
https://www.facebook.com/thedowntownstruts
http://www.downtownstruts.com/
http://www.myspace.com/thedowntownstruts



lunedì 14 gennaio 2013

Live in Paris The Pogues (Universal 2012)

Qualche anno fa ebbi la fortuna ( o sfortuna..dipende dai casi) di assistere all'unica data italiana dei Pogues, in un afosa sera di giugno, rinchiuso dentro il PalaTrussardi-Sharp-Vobis di Milano . Devo dire che l'attesa spasmodica di vedere una delle mie band preferite fu vanificata da una prestazione alquanto scadente del gruppo irlandese, con lunghe pause, errori e cadute di stile, che, se da una parte mi fecero sorridere, dall'altra delusero non poco le aspettative di chi li considerava un eccellente macchina live.
Pochi mesi fa ecco uscire questo appetitoso cofanetto che raccoglie gli sforzi per celebrare una carriera trentennale, condizionata da numerosi alti e, purtroppo bassi, ma che ha reso questa band uno status symbol per tutto il movimento punk-folk di matrice irlandese che negli ultimi anni ha preso piede un pò ovunque.
Parto subito col dire che il box è formato da due Cd che riprendono l'esibizione live all 'Olympia Theatre di Parigi, risalente allo scorso settembre e da altrettanti DVD che ci ripropongono il concerto integrale più alcuni documentari di emittenti francesi risalenti alla metà degli Anni Ottanta, sicuramente il climax artistico e commerciale della band.
Che dire..il prezzo ne vale tutto e mi ha fatto dimenticare quella pietosa esibizione di qualche anno fa a Milano. Certo la tecnologia aiuta parecchio con ottime riprese e i suoni "addomesticati", ma su quel palco ho ritrovato una band in forma strepitosa, sicuramente migliorata  e più coesa dopo il lungo periodo da separati. Il leader Shane MacGowan paga il dazio degli anni e degli abusi, ma non sarebbe lui senza la sua camminata traballante, la sua voce sbiascicata e l'eterna sigaretta accesa tra le dita mentre impugna il microfono. Ma sul palco c'è e lascia vedere tutto il suo carisma lasciandosi andare ad interpretazioni maestose dei classici della band. Anche il resto dei Pogues è ben rodato, a partire dall'altra anima della band, quello Spider Stacy che provò a far andare avanti la band pur senza il suo leader alcolico e qui, canta un paio di pezzi con la sua inconfondibile voce roca.
I classici della band ci sono tutti e non sto a dire cosa è venuto bene e cosa no...godetevi il concerto nella sua interezza, lasciandovi trasportare dalla magia della poesia alcolica del gruppo irlandese, sognando di essere li, in mezzo al pubblico a pogare e sudare sotto il palco, ed  anchese, Kirsty Maccoll non c'è più, vi ritroverete commossi nel vedere il balletto tra Shane ed Ella Finer (la figlia di Jem Finer, banjo e mandolino) sulle note finali di Fairytale of New York.
E a proposito di finale...come non chiudere in bellezza con Fiesta dove tra coriandoli e stelle filanti si celebra la chiusura di una reunion epocale in un mix di bagordi alcolici in salsa spagnoleggiante/irlandese.
Ancora una volta grazie ...alzo l'ennesima pinta in vostro onore al grido di Pogue Mahone!!!!!!
www.pogues.com
spotify:album:1aswgwvlGy5JWBhodmCRoq