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domenica 6 marzo 2016

Black Sabbath Black Sabbath ( Vertigo Records 1970)













Birmingham, Inghilterra, fine anni Sessanta, nel circuito dei locali rock della zona si nota una band, gli Earth, devota al blues ed al rock and roll dell'epoca che si sta facendo strada tra le decine di musicisti locali. Hanno buona tecnica e suonano in ogni buco, ma serve qualcosa per emergere dall'anonimato e dalla miseria di una città industriale che si sta rimettendo in piedi dopo gli sfaceli della Guerra. La sfortuna si abbatte sul loro chitarrista, Anthony "Tommy" Iommi, che perde due falangi in un incidente di lavoro e deve rivoluzionare il suo modo di suonare lo strumento, portandolo a sperimentare nuove sonorità che si riveleranno un intuizione geniale per il futuro della band. Cosi come l'interesse per l'occulto, l'esoterismo e gli horror movie da parte del bassista, Terence "Geezer" Butler che darà una svolta all'immagine, ai testi ed al nome della band stessa che deciderà di chiamarsi Black Sabbath, in onore di un vecchio film di Boris Karloff. La ciliegina sulla torta viene dal cantante, John Michael Osborne, detto Ozzy, folle e dedito al consumo smodato di alcolici, ma con un carisma unico sulle assi del palcoscenico.
Con queste premesse si affaccia sul mercato nel 1970 il primo album, omonimo, con una copertina inquietante che lascia presagire i contenuti malevoli e cupi del disco: una Madonna Nera che si staglia nella brughiera inglese, un immagine offuscata che fa da preludio alla prima canzone, Black Sabbath appunto, aperta da campane a morto, lo scrosciare della pioggia e da suoni sinistri: da questo momento nulla sarà più come prima!!
Dalla titletrack ( che parla di una messa nera) a N.I.B (Nativity In Black) ci sono riferimenti continui al Diavolo ed alle sue manifestazioni, ma sono i suoni che cambiano completamente rispetto al passato complici anche le tonalità di chitarra ribassate e la voce allucinata di Ozzy Osbourne, vero sciamano in preda ad un trip lisergico.
Il passato blues è ancora forte come in The Wizard o Evil Woman, ma è l'ultimo legame che i Sabbath avranno con la loro precedente incarnazione. ormai il sasso è stato gettato nello stagno e si è creato il flusso giusto che li porterà ad incidere il secondo album, Paranoid ed entrare nella leggenda.
Sicuramente questo non è il capolavoro dei Sabbath, anzi  ci sono ancora angoli da smussare ed una personalità da costruire al cento per cento, ma è il punto di partenza di una carriera che dura da oltre quarant'anni ed ha dato vita al movimento metal ed al suo immaginario legato al soprannaturale ed all'occultismo, cosi come ai suoi sottogeneri, il doom metal su tutti, caratterizzato da suoni lenti, cupi e scarni come vuole la titletrack che apre questo disco.
Da riscoprire ed adorare!!
Black Sabbath Official Page
Spotify



martedì 28 ottobre 2014

The Southern Harmony & Musical Companion The Black Crowes (Def American Recordings 1992)












Dove ci eravamo lasciati? con il debut album bestseller Shake Your Money Maker e con la strada spianata verso un crescente successo! Ecco questa è la via che tracciano i Black Crowes, band guidata dai litigiosissimi fratelli Robinson, che vedono le loro gesta catapultate sui palchi di tutto il mondo, pronti a sfidare il nascente astro del grunge con i suoi chitarroni pesanti e le camicie di flanella.
Della partita entra il chitarrista Marc Ford, che darà ancor più vigore alle nuove composizioni, che verranno pescate a piene mani, come potenziali singoli, per trascinare l'album nelle classifiche di vendita.
Le coordinate stilistiche son sempre le stesse: un buon hard rock venato di soul, ma con l'aggiunte di quel blues sporco e graffiante che ha reso immortali la coppia Richards & Jagger.
Ecco quindi l'opener Sting Me, ottimo "rock and soul"  impreziosito da cori femminili, per dare quell'aurea "southern" alla canzone. A ruota segue Remedy, primo singolo  che colpisce direttamente al cuore con il suo ritmo cadenzato dettato da un piano honky tonky e dal suo chorus sinuoso e sensuale grazie ai soliti controcori femminili messi li ad arte.
Ma nulla di questo album è scritto a tavolino per vendere, qui c'è una pura passione rock and roll, sanguigna e viscerale, sicuramente in contrasto coi tempi che furono, anacronistica ma dannatamente efficace perchè vuole colpire il centro nevralgico dei sentimenti dell'ascoltatore.
Sotto quindi con il sofferente blues di  Bad Luck Blue Eyes Goodbye, lento  e carico di dolore come solo chi patisce le pene d'amore può provare. Ed è sempre il blues la strada maestra da seguire come in Sometimes Salvation, dove lo spettro di Janis Joplin si materializza in tutta la sua urgenza di scaldare le corde vocali con l'ultimo sorso di Southern Comfort: qui Chris Robinson sembra davvero essere impossessato dal demone alcolico della Joplin, e la sua voce traccia la linea guida nella sua roca disperazione.
Thorn in My Pride è la ballata che fa tirare il fiato, notturna e rilassante, tra le sue percussioni, il calore di un Hammond, vitale come  il ritrovarsi attorno ad un falò in una notte d'inverno.
Hotel Illness è l'ennesimo singolo estratto all'epoca ed è devozione assoluta ai Rolling Stones ed alle highway americane, cosi come Black Moon Creeping e My Morning Song che omaggiano gli Zeppelin e il vibrante hard rock dei Seventies tra ottimi riff, assoli cesellati ad arte e la consapevolezza che senza i grandi del passato non si può andare avanti.
La chiusura è affidata ad una cover, pratica che spesso ha visto i Black Crowes impegnarsi a dare versione inedite di pezzi altrui. In questo caso tocca a Bob Marley, con la sua Time Will Tell, ripresa in chiave acustica e con un tocco soul che sa davvero stravolgere l'originale ma sa anche dargli una potente aurea "black" che fa chiudere il legame sacro con il cantante giamaicano.
Un altro grande capolavoro quindi di questa ottima band, che ha saputo scrivere grande musica senza svendersi alle leggi di un mercato, che, all'epoca, guardava da tutt'altra parte, ma che grazie alla grande passione ed alla sincera proposta dei fratelli Robinson, ha saputo ritagliarsi una parte importante nella storia del rock americano.
www.the blackcrowes.com
www.facebook.com/TheBlackCrowes
The Black Crowes – The Southern Harmony And Musical Companion

lunedì 11 agosto 2014

Magic Mountain Black Stone Cherry (Roadrunner Records 2014)












Tra gli esponenti della nuova scena hard rock USA i Black Stone Cherry sono forse tra i meno conosciuti, eppure sono on the road da almeno quattordici anni ed hanno già pubblicato quattro album e questo Magic Mountain è l'ultima fatica discografica.
Pur non inventando niente di nuovo, la band del Kentucky ci regala un 'ora di intenso e vitaminico hard rock che pesca a piene mani dai Seventies, dal southern e da quel sound "grunge" tanto in voga negli Anni Novanta.
L'opener Holding On to Letting Go parte con un attacco stoner da far sobbalzare dalla sedia qualsiasi fan dei Kyuss, per poi sfociare in un granitico hard rock fatto da riffoni e un bel solo di chitarra.
Ecco, non chiediamo chissà che cosa, ma solo ottima musica per distrarci e ricaricare le pile! Si perchè se cerchiamo intellettualismi o digressioni filosofiche, beh i BSC sono lontani da tutto ciò, consci del fatto che un pò di sano divertimento, della buona erba e dell'altrettanto ottimo bourbon possono renderti la vita davvero piacevole.
Ed ecco cosi le melodie ariose di Peace Pipe 
Fall down on a peace pipe
I just wanna make love I don't wanna fight
Oooh, see the world through different eyes
Fall down on a peace pipe
I just wanna make love I don't wanna fight
Oooh, I know the smoke would change your mind

 o la rocciosa Me and Mary Jane, che si installa nella mente in pochi ascolti

Me and Mary Jane got a thing goin' on, goin' on
Creepin' up slow, hangin' 'round my back door, my back door,
If we get caught, everyone'll see us stoned, see us stoned,
Me and Mary Jane got a thing goin' on, goin' on
We're livin' for a good time

C'è tempo anche per melodie più ariose, da airplay come in Runaway, che tocca pericolosi territori "nichelbeckiani"o Remember Me, ballad elettrica posta in conclusione come epitaffio finale di Magic Mountain, con un grande Chris Robertson che sfoggia un ottima prova vocale, ben supportato però da una band che dimostra di girare a mille e di esser pronta per il definitivo salto di qualità ed affiancarsi a realtà ben più celebrate come Alter Bridge o Nickelback.
La top song comunque rimane l'hard rock di stampo Eighties di Bad Luck & Hard Love, che racchiude in se tutto quello che si possa chiedere ad un brano rock: chitarre, potenza, ritmo e spensieratezza, oltre che un testo che sa di devozione verso uno stile di vita che va aldilà delle mode e del facile successo.

Walking barefoot down highway 61
Wolf is howling got me on the run
Muddy waters ringing in my ears
Feels like I ain't been home in years

Bad luck and hard love are tattooed on my spine
Black clouds and holy smoke fuel the train that I drive
Its my life and its one hell of a ride!

Thirteen miles from the Mississippi coast
I made some friends but they all were ghosts
I've been so lonesome you know that I could cry
I'm still haunted by Betty Paige's eyes

Bad luck and hard love are tattooed on my spine
Black clouds and holy smoke fuel the train that I drive
Its my life and its one hell of a ride!

www.blackstonecherry.com
https://www.facebook.com/officialblackstonecherry
Spotify





sabato 5 luglio 2014

Temperance Movement The Temperance Movement (Earache Records 2013)












Per la serie corsi e ricorsi storici, da qualche anno a questa parte stiamo assistendo ad un ritorno a sonorità vintage, figlie degli Anni Settanta, di quell'hard rock sincero e sanguigno che ha fatto scuola e basti pensare a nomi come Rival Sons, Scorpion Child, Wolfmother o i Black Star Riders per creare un vero filone di musica per nostalgici.
Aggiungerei anche questi The Temperance Movement, band scozzese che sta alimentando le speranze dei rockers di oltremanica e non solo, tanto da essere messa sotto contratto dalla Earache Records, label storica specializzata in metal estremo, ma che negli ultimi anni sta ampliando i propri orizzonti.
Questo loro debutto, segue l'EP apripista Pride del 2010 ed è formato proprio dai cinque pezzi di quell' esordio più altri brani inediti, in bilico tra hard rock, southern e soul, magistralmente interpretati da questo nugolo di musicisti, abbastanza scafati nei meandri della musica rock ( c'è chi ha fatto il turnista per Jamiroquai ed i Deep Purple, mentre il cantante è l'ex voce dei Reef, hard rock band anni Novanta), che hanno scelto di unirsi sotto questo curioso monicker ( The Temperance Movement era un movimento proibizionista inglese dei primi del secolo scorso) e candidarsi come la prossima "next big thing".
L'opener Only Friend è massiccia nel suo guitar riffing e spazia tra il southern ed il soul e non possono non venire in mente i Black Crowes di Amorica, grazie anche alla voce calda ed intensa di Phil Campbell, ma è sulle ballad che i Nostri si giocano le carte migliori: Pride, Chinese Lanterns, Lovers and Fighters, Smouldering e Serenity sono tutti brani di atmosfera, giocati su toni soffusi dove la voce e il meraviglioso lavoro di fino delle chitarre creano atmosfere incredibili. Ogni band che si rispetti ha scritto ballad o pezzi lenti, ma per rendere un pezzo indimenticabile bisogna buttarci dentro l'anima e questi TTM di "soul " ne hanno da vendere.
Ad ogni modo non pensate che il lato soft sia la caratteristica principale di questa band, perchè quando questi ragazzi devono pestar duro e schiacciare sull'acceleratore non si tirano di certo indietro, basti pensare a Midnight Black, veloce e tirata (cosa sarebbe con una sezione fiati dietro a spingere su quel chorus!!), oppure a Take It Back con i suoi "ohoh oh oh" trascinanti (un pò come Chelsea Dagger dei Fratellis) o Be Lucky, altra gemma hard rock che farebbe impazzire i fan dei Free.
Ma l'highlight è Ain't No Telling, intensa con le carte giuste per passare alla storia, fatta apposta per chiudere un concerto e trasformare quei pochi minuti in un momento di estasi collettiva.
A differenza di tante meteore, questo disco ha almeno sei-sette brani potenziali singoli, che fanno venir voglia di ascoltarli e riascoltarli e non mi parrebbe strano se un giorno dovessero essere passati in rotazione su qualche radio rock.
Forse la prossima "next big thing" è davvero arrivata!
TTM Official Site
TTM Facebbok Page
The Temperance Movement – The Temperance Movement (Spotify)

martedì 20 agosto 2013

Scorpion Child Scorpion Child (Nuclear Blast 2013)












Avete presente i mobili dell'Ikea? moderni, giovani, al passo coi tempi,coordinati con accessori fatti e pensati per le nuove generazioni usa e getta.
Avete presente invece quei tavoloni in legno massiccio che fanno arredo da decenni in oscure taverne, testimonianza di generazioni di gomiti appoggiati col proprio boccale di birra, formati da una trave talmente grossa che potreste salire a ballarci sopra con i vostri anfibi.
Ecco, gli Scorpion Child, da Austin, Texas, sono proprio come quei tavoloni: vecchi, anzi retrò, probabilmente fuori moda, ma le loro radici sono solide ed inattaccabili, proprio come il genere che propongono: un hard rock venato di psichedelia, indissolubilmente legato agli Anni Settanta.
L'ispirazione deriva principalmente dai Led Zeppelin, tanto che il cantante, Aryn Jonathan Black, sembra un Robert Plant meno sensuale, ma senza nulla togliere per cantare un pezzo come l'opener Kings Highway servono i muscoli non i gemiti.
Per i passaggi più delicati c'è tempo per la meravigliosa Antioch, una ballada a metà tra Thank You e i Blind Melon di Shannon Hoon, dove i nostri texani fanno un intenso lavoro di fino cesellando chitarre in uno degli highlights di questo album.
Polygon of Eyes è il pezzo da tramandare ai posteri con il suo chorus epico che ricorda i Rainbow di R.J. Dio e che tormenterà la vostra mente tanto è diretto, ma soprattutto è uno degli episodi più duri di tutto l'album, insieme a Salvation Slave con dei riferimenti ai primi vagiti della NWOBHM.
Il finale affidato a Red Blood è l'ennesimo climax con i suoi  cambi di tempo, da prima soffusi, guidati da chitarre stemperate, per poi lasciarsi andare a fughe strumentali degne dei migliori Deep Purple.
A conti fatti gli Scorpion Child non inventano nulla di nuovo, ma l'ascolto di questo disco fa stare bene e invoglia a continuare a mettere il piatto sullo stereo, tanto le canzoni sono coinvolgenti e dotate di un anima propria.
A voi la scelta se seguire le sterili mode del momento o dare una chance a chi continua a pescare a piene mani dalla storia regalando sempre grandi emozioni.
Io la mia scelta l'ho fatta e continuo a ballare sui quei vecchi tavolacci di legno con i miei anfibi impoverati.
I will take
I will take what I desire
As a gift you should hold
Sound is a language of love
It's an instrument of god
www.scorpionchild.com
www.facebook.com/scorpionchild
spotify:album:56sc0owUITVnnOZu16GIYC

venerdì 26 luglio 2013

Paranoid Black Sabbath (Vertigo Records/EMI 1970)












A volte il destino sa essere davvero strano se si pensa che una canzone pensata, scritta ed interpretata in poche ore, giusto per riempire il minutaggio di un disco, diventi un hit di successo mondiale, ma anche il manifesto di un genere musicale che sarebbe ancora dovuto venire.
Si perchè Paranoid, con due accordi basilari è diventata la canzone più famosa dei Sabbath, nonchè lo start up di tutto quel movimento heavy metal che si sarebbe sviluppato  nel decennio successivo.
In origine questo album, il secondo per la band inglese, si sarebbe dovuto chiamare War Pigs, chiara invettiva contro i governi, in particolar modo quello americano colpevole della guerra in Vietnam. Ma per evitare la scure della censura, il management dei Sabbath cercò un escamotage e sentendo le potenzialità di Paranoid stravolse tutto rinominando l'album e trasformando la copertina con un immagine sfocata di un "samurai-cosmico" che brandisce una spada, quando all'origine il personaggio in questione avrebbe dovuto avere una maschera da maiale.
Ad ogni modo quello che viene consegnato alla storia è un disco fondamentale, capace di creare un suono nuovo, lontano dagli stilemi blues e folk di altre grandi band dell'epoca come Deep Purple e Led Zeppelin.
L'opener War Pigs, nonostante tutto, rimane una delle più belle canzoni della band, dove Ozzy si autoproclama gran cerimoniere recitando i suoi salmi carichi di odio contro i governi militaristi dell'epoca, mentre Iommi macina grandiosi riff saturi ed assoli di pregevole fattura, senza mai strafare,ma sempre calibrando le giuste note ed armonie.La batteria di Ward è scarna ed essenziale ma tellurica allo stesso tempo.
Generals gathered in their masses
Just like witches at black masses
Evil minds that plot destruction
Sorcerer of death's construction
In the fields the bodies burning
As the war machine keeps turning
Death and hatred to mankind
Poisoning their brainwashed minds, oh lord yeah!

L' altra perla dell'album è Iron Man, caratterizzata da un riff granitico di Iommi, che da solo farà da nave-scuola a tutte le successive bands doom e stoner dei due decenni successivi. La voce di Ozzy è distorta e robotica nei secondi iniziali per poi lasciarsi andare nella narrazione fantastica di un viaggiatore del tempo, che, essendo stato nel futuro ha visto la fine del genere umano.
Tornato nel suo passato per avvertire la gente, entra in un campo magnetico la sua pelle diviene d'acciaio (Iron Man) e lui perde l'uso della parola .Deriso dai suoi simili impazzisce ed in cerca di vendetta distrugge il genere umano facendo avverare cosi ciò cheha visto nel futuro.
Aldilà della storia inventata di sana pianta da Butler, da sempre appassionato di horror e sci-fi, la denuncia sociale è evidente, in un contesto teso per la Guerra Fredda ed il Vietnam, visto da ragazzi che uscivano dagli orrori della Seconda Guerra Mondiale
Nobody wants him 
He just stares at the world 
Planning his vengeance 
That he will soon unfurl 

Now the time is here 
For Iron Man to spread fear 
Vengeance from the grave 
Kills the people he once saved


Il resto dell'album offre altre perle come la ipnotica e sognante Planet Caravan oppure la schizofrenica Electric Funeral, cronaca di un ecatombe nucleare che si alterna tra parti lente ed altre più sostenute.
Su Hand of Doom, troviamo tanti spunti che verranno sfruttati negli anni a venire ( lo stesso termine "Doom" la dice lunga...), mentre il finale è affidato alla delirante Fairies Wear Boots, forse la canzone più leggera del disco, ma non di meno interessante.
A conti fatti questo è uno dei capisaldi della storia della musica rock che, oltre a regalare grandi pezzi ha dato vita ad uno dei generi musicali più popolari di sempre: l'heavy metal, con tutte le sue sfumature.
Più avanti i Sabbath sperimenteranno nuove soluzioni diventando sempre più i leader di un certo tipo di hard rock e guadagnandosi il rispetto incondizionato dei fans per i successivi 40 anni.
www.black-sabbath.com
spotify:album:714ndVxSx8lIWhQxdbcXIs
















mercoledì 17 luglio 2013

All Hell Breaks Loose Black Star Riders (Nuclear Blast 2013)












In principio ci fu una reunion con lo storico monicker THIN LIZZY, che vedeva il chitarrista superstite Scott Gorham, Brian Downey alla batteria e Darren Warthon alle tastiere, insieme ad altri musicisti, portare in giro per il mondo un tributo alla band irlandese ed al suo leader Phil Lynott, scomparso nel 1984.
Con tutti i pro e contro del caso, in primis, l'utilizzo del nome storico per una tribute band vera e propria, diciamo che l'interesse per i Thin Lizzy si è ridestato ritrovando fans vecchi e nuovi che piano piano hanno affollato  le svariate venues dove i nostri si esibivano.
Della partita hanno preso parte l'ex Almighty Ricky Warwick, il bassista Marco Mendoza ed in seguito Jimmy DeGrasso(batteria) e Damon Johnson (chitarra) e tra un tour e l'altro ecco prendere vita l'ipotesi di scrivere pezzi nuovi per far rivivere il mito Thin Lizzy, senza però utilizzare di nuovo il monicker storico, ma dando vita ad una seconda incarnazione denominata appunto Black Star Riders.
Fatto il giusto preambolo vado diretto al sodo e quello che mi appresto a recensire è davvero un gioiello di puro hard rock, semplice diretto e live, con pezzi che sono destinati ad entrare in testa ( e speriamo nella storia) già dopo pochi ascolti.
Il filo diretto che lega il passato ed il presente è davvero unico, con il songwriting di Warwick che si cala alla perfezione nel mito di Lynott, senza però mai cadere nel banale, ma celebrando il giusto tributo.
Basta ascoltare la tripletta iniziale con la rocciosa titletrack che da il nome all'album, la spettacolare ed anthemica  Bound for Glory ( ..and he knows he can never win/ he's just trying to lose a little more slowly ..questa si che è una melodia fuorilegge!), oppure Kingdom of the Lost, con il suo incedere folkeggiante che rimanda ai ricordi della natia Irlanda.
I testi di Warwick sono spettacolari e raccontano storie di vita borderline, cosi come il suo cantato che si avvicina al calore di Lynott.
La band gira davvero a mille, Scott Gorham snocciola riff granitici e superbi assoli che non possono non far felici coloro che sono cresciuti con l'hard rock sanguigno e vigoroso dei Seventies.
Kissin the Ground è melodica e ruffiana al punto giusto, mentre Someday Salvation mi ricorda i Thin Lizzy più scanzonati e festaioli.
Di Rimando viene esaltato il lato più cupo del songwriting con Hey Judas e la tetra e sinuosa Hodoo Voodoo, mentre il finale è affidato ad una lunga digressione in territori blues ( Gary Moore docet) con l'intensa Blues ain't so Bad.
In conclusione i BSR sono la logica evoluzione e prosecuzione di quel pezzo di storia chiamato Thin Lizzy, tanta è l'attitudine e le coordinate musicali che coinvolgono i musicisti. Ritengo giusto lo scegliere un nome nuovo e proseguire cosi una carriera parallela, ma sempre ben distinta.
Consigliato a chi vuole ascoltare dell'ottimo e sincero hard rock, che non inventerà nulla...ma fa stare dannatamente bene!!
www.blackstarriders.com
www.facebook.com/BlackStarRidersOfficial
spotify:album:2jtBDBKJG9UqjEpK9hOH6P






venerdì 7 giugno 2013

Raining Rock Jettblack ( Spinefarm Records/Universal 2013)












Negli ultimi anni, nel Regno Unito, è rinato un notevole interesse nei confronti di sonorità anni Settanta e Ottanta, legate al periodo d'oro dell'hard rock e del metal. A partire da reunion e festival fino al proliferare di numerose bands che hanno creato una nuova scena parallela ai trend musicali che vanno per la maggiore.
Tra questi ecco i Jettblack, giovane band proveniente da Wycombe con un esordio discografico nel 2011 e numerose apparizioni sui palchi dei maggiori festival targati UK.
Con questo Raining Rock arrivano a dare un seguito al loro fortunato debut, regalandoci una sfilza di ottime songs dotate di tiro e melodie a profusione che difficilmente possono lasciare indifferenti.
La title track è un anthem potente sulla scia di Judas Priest e Accept ( tra l' altro vi è anche una versione con special guest proprio Udo Dirchschneider) e va diretta dove deve colpire: nelle palle!
Anche la successiva Less Torque,More Rock affonda i denti nell'hair metal anni Ottanta con chitarre grintose e cori melodici che avrebbero fatto fortuna sui dischi di Warrant e Whitesnake.
Proprio la band del vecchio Coverdale viene presa come fonte d'ispirazione per Prison of Love, un' altra anthemica ballad che negli anni giusti avrebbe sfondato le rotation di radio e TV.
Tra i pezzi migliori Something About This Girl, con un chorus davvero catchy e la veloce System, dove i Nostri non esitano a pestar duro.
L'album si chiude con una ballad, The Sweet and the Brave, con ottime aperture melodiche e con arrangiamenti che la valorizzano ancora di più.
In sostanza i Jettblack non inventano nulla di nuovo, ma dimostrano di aver imparato la lezione e di saper scrivere ottime canzoni, ritagliandosi cosi il loro spazio  nella nuova scena hard rock inglese.
Da seguire!
I hear the drumming of thunder,
The rumble of rain,
A wail on the wind,
And the voice of pain,
So I step outside to find it's raining rock and roll

The air is getting heavy,
The metal has come to touch,
The sky turns a brutal black,
And breathing becomes too much,
So I step outside to find it's raining rock and roll,
So I step outside to find it's raining rock and roll,
Yeah
www.myspace.com/jettblackuk

www.facebook.com/jettblackuk
spotify:album:0TCHEW1rekATyL1U65SK6i


mercoledì 6 marzo 2013

Have You Ever Seen the Rain? A post about Credeence Clearwater Revival














Ho sempre pensato ai Creedence Clearwater revival come ad una band imprescindibile, uno di quei gruppi le cui canzoni le conosci da sempre e, soprattutto le conoscono tutti, un pò come i Ramones per il punk o i Deep Purple per l'hard rock. Complici alcune hit (nel loro caso una abbondante mezza dozzina) che hanno strapazzato le classifiche quasi cinquant'anni fa, diventando cosi patrimonio della memoria collettiva del popolo rock e non solo, i CCR sono stati una fulgida meteora che ha brillato per circa un lustro, ma i bagliori che ha lasciato dietro di se si percepiscono ancora a distanza di decenni.
La band, guidata dai fratelli Fogerty, in particolare da John si affaccia verso la seconda metà degli anni Sessanta, in un panorama musicale in fermento per la nuova era psichedelica, dove i mostri sacri, in preda agli eccessi lisergici si lasciano andare a lunghissime suite musicali e la controcultura hippie la fa da padrona.
Ecco, in questo contesto i CCR si riappropriano delle radici musicali dell'America, quella "roots music" che abbraccia il blues del Delta, il folk, il country sudista ed il buon rock and roll del decennio precedente. Praticamente una mosca bianca che offre hit da pochi minuti, senza assoli ma dall'impatto devastante, destinate a diventare dei capolavori immortali.
L a sezione ritmica è il punto di forza: scarna, semplice ma che colpisce diretta al punto, facendo muovere mani e piedi. La voce di Fogerty è un urlo rauco, figlio delle paludi della Louisiana, patria di blues e voodoo, tanto che nel loro primo album viene coverizzata I Put a Spell on You di Screaming Jay Hawkins, vecchio cerimoniere della Musica del Diavolo. Le chitarre strimpellano accordi semplici e lineari come nella migliore tradizione folk-country, basti pensare a Proud Mary, la loro hit di maggior successo, presente nel loro secondo album, un tributo al Grande Fiume, il Mississippi, fonte di ispirazione e di vita, una colonna sonora per qualsiasi aspirante Huckelberry Finn.
Nonostante quelli furono anni di gran fermento politico e sociale, i CCR si distanziarono dagli intellettualismi della scena musicale, preferendo di gran lunga suonare, facendosi conoscere un pò dappertutto: una vera attitudine "Working Class" che costò a loro parecchie critiche, figlie di un epoca dove l'importante era schierarsi. A loro modo però, John Fogerty e soci riuscirono ad esprimere il loro messaggio sociale, soprattutto nel  quarto album "Willy and the Poor Boys", dove per la prima volta si tratta il tema della guerra, come nella hit rock and roll Fortunate Son
Some folks are born made to wave the flag,
Ooh, they're red, white and blue.
And when the band plays "Hail to the chief",
Ooh, they point the cannon at you, Lord,
It ain't me, it ain't me, I ain't no senator's son, son.
It ain't me, it ain't me; I ain't no fortunate one, no,
Yeah!

Some folks are born silver spoon in hand,
Lord, don't they help themselves, oh.
But when the taxman comes to the door,
Lord, the house looks like a rummage sale, yes,
It ain't me, it ain't me, I ain't no millionaire's son, no.
It ain't me, it ain't me; I ain't no fortunate one, no.

Some folks inherit star spangled eyes,
Ooh, they send you down to war, Lord,
And when you ask them, "How much should we give?"
Ooh, they only answer More! more! more! yoh,
It ain't me, it ain't me, I ain't no military son, son.
It ain't me, it ain't me; I ain't no fortunate one, one.
It ain't me, it ain't me, I ain't no fortunate one, no no no,
It ain't me, it ain't me, I ain't no fortunate son, no no no

La denuncia al sistema è palese e diretta e anche i critici più strenui iniziano a capire la portata di successo di una band  come i Creedence.
Il disco successivo Cosmo's Factory è da considerare il capolavoro della band, un album completo e maturo che mostra tutte le sfaccettature che hanno delineato le caratteristiche dei CCR, trainato dal singolo Who'll Stop the Rain, arioso e melodico ma pungente contro la guerra, rimane il più grande successo commerciale di Fogerty e soci. La versione "espansa" di I Heard it Through the Grapevine è monolitica cosi come la ballata soul  Long as I can See the Light, impreziosita da un solo di sax che le conferisce un mood molto notturno e noir. Il rock and roll sfrenato viene citato da Travellin Band, manifesto della vita on the road  di chi ha scelto di fare il musicista, mentre Run to the Jungle è l'ennesima invettiva anti Vietnam.
Purtroppo quando arrivi in alto puoi solo scendere e da questo momento inzia la parabola discendente dei CCR, che fanno altri due dischi fiacchi e poveri di idee (anche se riescono a regalare un altra perla: Have You Ever Seen the Rain) prima di sciogliersi definitivamente dopo un quinquennio di piena attività.
Da qui in poi ognuno dei musicisti coinvolti prenderà strade diverse, anche se solo John Fogerty riuscirà a costruirsi una carriera di tutto rispetto, a conferma del fatto che la mente dietro la band era lui, autore di gran parte dei pezzi e cuore pulsante ei Creedence.
Cosa rimane a questo punto? Una grande, enorme eredità musicale che va aldilà dei singoli brani, ma che getta un ponte tra la tradizione americana ed il rock and roll e si protrae avanti per oltre cinquant'anni, influenzando schiere di musicisti a venire. Basti pensare a quante band hanno coverizzato i pezzi dei Creedence: da Springsteen ai Ramones passando per Dropkick Murphys (tra le nuove leve) fino a Lucio Battisti.
Forse l'appellativo di American Band calza davvero a pennello su di loro, i primi a portare al grande pubblico quell'immaginario fatto di Route 66, Nevada, Elvis Presley, New Orleans e la Louisiana,il Delta del Grande Fiume e le camicie di flanella  in un epoca dove la bandiera a stelle e strisce era un peso da portare tanto quanto la loro presenza a Woodstock, una sfida vinta verso chi li osteggiava per non schierarsi apertamente con la rivoluzione.

Put a candle in the window, but I feel I've got to move.
Though I'm going, going, I'll be coming home soon,
'Long as I can see the light.

Pack my bag and let's get movin', 'cause I'm bound to drift a while.
Well I'm gone, gone, you don't have to worry no,
'Long as I can see the light.

Guess I've got that old trav'lin' bone,
'cause this feelin' won't leave me alone.
But I won't, won't be losin' my way, no, no
'Long as I can see the light.

http://creedence-revisited.com/
http://www.johnfogerty.com/

































sabato 23 febbraio 2013

Columbus Way Smokey Fingers /Tanzan Musica 2011)












E poi venne quel giorno in cui, su una solitaria strada delle lande americane, a cavallo di una potente Harley Davidson, ci si trova davanti alla Columbus Way , che fa attraversare tutti gli  States, il deserto, fa tappa in quel roadhouse per rifocillarsi e riposare un poco, prima di riprendere il viaggio ed arrivare...a Lodi!
E si, perchè gli Smokey Fingers sono un quartetto lodigiano ma che ha tanta America nel cuore e lo dimostra con questo album, edito da Tanzan Music, dove viene messa in musica tutta la passione per un certo tipo di hard rock debitore di influenze come Lynyrd Skynyrd, Allmann Brothers, Molly Hatchet e ZZ Top.
Dodici tracce ben suonate, con una resa sonora degna di tal nome che riportano le emozioni lungo le assolate strade degli Stati Confederati: Old Jack è un opener muscolosa che da l'idea di quello che ci si parerà davanti nel nostro viaggio: Riff quadrati, una voce calda e graffiante, una sezione ritmica robusta e assoli di chitarra di pregevole fattura.
Per dare un tocco soul al tutto ci sono backing vocals femminili, come in The Good Countryside o inserti di Hammond ( come nella bellissima Born to Run) che scaldano il cuore come un buon bicchiere di whisky.
Gli Smokey Fingers hanno un anima rock and roll e ce la mostrano in quel piccolo gioiello che svetta su tutto l'album: Sweet Tears, una ballad intensa, la loro "Free Bird" personale che riporta la mente indietro nel tempo, quando si era bambini e le giornate erano piene di sole.
 I remember the Christmas snow,
in my bed waiting for the Lord
I remember
one gift that will never come

when the corn was corn
and the Rock was “The Rolling Stones”
when a friend was friend
and the future
was to become like Superman.

Where is that child
who wanted to live forever
Like in a fairytale
Because a dream is better

C'è tempo anche per la cover di turno, quella Country Road, scritta da James Taylor e rivisitata in chiave hard rock, prima di affidarsi alla doppietta di chiusura Crazy Woman e Devil's Song che pongono il sigillo su un album bello, diretto ed onesto.
Gli Smokey Fingers non scoprono certo l'acqua calda, ma è dannatamente bello immergersi in una vasca bollente e lasciarsi andare alle melodie che i nostri hanno saputo creare.
E' proprio vero...il rock and roll non è morto, basta solo saperlo cercare!!!
www.smokeyfingers.com 
www.myspace.com/smokeyfingersband
 www.facebook.com/smokeyfingers 
spotify:album:4o4aMRUPWOrJQtjBPcOrpi





sabato 29 dicembre 2012

Mrs Love Revolution MojoFilter (Club de Musique Records 2011)












Ecco una piccola, ma estremamente interessante realtà che si affaccia nel panorama underground italiano: MojoFilter.
La band bergamasca è attiva da diversi anni, macinando concerti su concerti su e giù per la penisola e dopo un Ep autoprodotto ( The Spell), ha licenziato il suo primo full lenght dal titolo Mrs Love Revolution.
A partire dalla meravigliosa cover, l'album in questione è davvero bello e magistralmente prodotto ed all'interno di ogni pezzo, le sonorità sono ben bilanciate per far si che si possano carpire tutte le sfumature del caso.
Ma veniamo al sodo: i Mojofilter suonano, pensano, vivono l'atmosfera degli Anni Settanta a 360 gradi.
Ascoltare questo album è come finire in una macchina del tempo con il timer puntato al 1972 e ritrovarsi catapultati tra free festival, viaggi lisergici, l'incubo del Vietnam dietro l'angolo e Jimi Hendrix che bruciava la sua Fender qualche anno prima sul palco di Woodstock.
Proprio al istrionico chitarrista di colore si rifà l'opener Just Like a Soldier, cosi come nel susseguirsi di ascolti troviamo riferimenti ai Creedence (The River) al primo hard rock di Free ed Alice Cooper ( Lick me Up), agli Stones ( Liar e Ragged Companion) fino alllo sgangherato country americano di Las Vegas.
Ma non pensate che i pezzi presenti in questo disco siano meri esercizi di stile: le composizioni sono accattivanti e brillano di luce propria, tanto che l'impronta MojoFilter è fermamente impressa come un marchio di fabbrica.
Ma perchè quindi comprare un album come questo? Perchè fa stare dannatamente bene! Lo si mette in macchina e non lo si vorrebbe mai più togliere dallo stereo; perchè si muove in territori sicuri, lontani da mode e trend, ma è animato da pura passione e straordinaria tecnica.
Il mio consiglio è di cercare di vedere la band dal vivo, vere e proprie macchine da palco e poi, avvicinarsi al loro banchetto del merchandising e acquistare senza indugi questo cd!
P.S.
Un appello ai MojoFilter...ma un edizione in vinile? Con un artwork cosi è un suicidio non concepire l'edizione per i nostalgici del caro e vecchio disco!
www.mojofilter.it
https://www.facebook.com/mojofilter.rock?fref=ts










martedì 24 gennaio 2012

Hisingen Blues Graveyard (Nuclear Blast Records 2011)












Nel corso del 2011 abbiamo assisitito ad un vero e proprio revival di sonorità anni Settanta, soprattutto da parte di bands provenienti dal continente europeo: dagli inglesi Rival Sons e Gentleman's Pistols fino ai dirmipettai (Irlanda) The Answer, passando per i Black Country Communion di sua maestà Glenn Hughes. Ma tra i nomi che più mi hanno colpito vi propongo i Graveyard, giovanissima band svedese che, con questo secondo album, merita di essere considerata come una delle rivelazioni dell'anno appena conclusosi.
Prendete Deep Purple, Uriah Heep, Black Sabbath, Led Zeppelin, mescolate a fuoco lento con dell'ottimo blues ed ecco  creata la ricetta di questi Graveyard. Ah Dimenticavo: tanta sincera passione ed un amore smisurato per quelle sonorità retrò che non fanno mai scadere il prodotto in un mero esercizio anacronistico, ma trasportano l'ascoltatore in un epoca lontana, agli albori della musica rock e lo tengono inchiodato dall'inizio alla fine di questo album.
L'opener Ain't Fit to Live Here è la classica song d'apertura che non deve fare prigionieri sulla scia di una Burn o di una Communication Breakdown, con il cantante Joakim Nilsson che sfoggia il più classico dei falsetti. Ma il meglio arriva con le successive No Good, Mr Holden, un sulfureo hard-blues da Sabba Nero e la titletrack del disco ( a proposito..Hilsingen è il quartiere popoloso di Goteborg da dove arrivano questi ragazzi), dalle tinte più psichedeliche e stoner.
La produzione in analogico ( manna dal cielo in questi tempi di freddo digitale) accentua ancora di più le calde atmosfere di questo album, conferendo colore ed una vera atmosfera vintage ai brani; prendete quel piccolo capolavoro di Uncomfortably Numb, che di pinkfloydiano ha ben poco, ma sembra uscita da una session tra Janis Joplin ed i Led Zeppelin se mai avessero potuto incontrarsi!
La strumentale Longing, dagli echi morriconiani ( considero il Nostro Morricone un precursore dello stoner per le sue soundtracks spaghetti-western!) è posta da cuscinetto prima delle cavalcate hard blues di Ungrateful for the Dead e RSS che ci conducono alla finale The Siren, una lunga e sofferta canzone giocata su parti lente ed un infuocato chorus sostenuto da un roboante drumming e pregevoli assoli!
Tirando le conclusioni di questa recensione, credo che i Graveyard, con questo album abbiano realizzato una delle pagine musicali più promettenti del 2011, senza inventare nulla di nuovo e senza issarsi a salvatori del rock and roll. Se cercate un' oretta scarsa di semplice ed onesto hard rock d'annata, Hilsingen Blues è un disco che fa al caso vostro e sono sicuro che supererà anche la dura prova del tempo, non finendo sotto tre dita di povere come quella pila di cd che tenete sugli scaffali. L'umiltà e l'onesta pagano sempre!
P.S. Se dovessi dare un voto a questo disco, lo alzerei di mezzo punto per la splendida cover, only for Vynil Lovers

www.myspace.com/graveyardsongs
www.facebook.com/graveyardofficial
TeePee Records   (Label di Goteborg per cui hanno debuttato i Graveyard)