mercoledì 19 giugno 2013

Resurrection Death SS (Lucifer Rising/Self 2013)











Poco meno di un mese fa recensii l'ultimo comeback discografico degli Extrema, band storica del metallo tricolore, ed ora ecco tra le mie mani il ritorno discografico di un'altro gruppo che ha scritto pagine importanti di storia: i Death SS!
Ho sempre seguito il percorso artistico della band di Steve Sylvester ed ero rimasto al loro Settimo ed ultimo Sigillo (The Seventh Seal, 2006) che decretava la fine di un percorso artistico ed esoterico che ha sempre caratterizzato le tematiche della band toscana.
Però il leader maximo Steve Sylvester non è certamente stato con le mani in mano in questi anni, scrivendo colonne sonore per film horror e partecipando come attore ad alcune serie televisive come L'Ispettore Coliandro o S.I.S.
Ed ecco che all'improvviso maturano i tempi per rimettere in pista il monicker Death SS, con una rinnovata line up ed una buona serie di pezzi, alcuni già editi perchè commissionati come soundtrack di film, ed altri invece inediti, tenuti nel cassetto e sviluppati per questa nuova "Resurrezione" musicale.
L'opener Revived parte col botto e ci presenta i Death SS in splendida forma con il loro sound inconfondibile: riff serrati molto industrial, un tappeto di effetti elettronici e l'inconfondibile voce malefica di Steve Sylvester, da sempre molto attento alle evoluzioni musicali che lo circondano, pronto a carpire il meglio e plasmarlo alla sua maniera per creare il sound giusto per la sua creatura.
Le tematiche occulte la fanno da padrone, soprattutto i rimandi ad Aleister Crowley,vera musa ispiratrice, soprattutto in The Crimson Shine, che rimanda al periodo di Panic, a mio avviso il capolavoro assoluto della band.
Nonostante il taglio moderno dei pezzi, troviamo molti riferimenti al metal più classico, grazie anche agli inserti di chitarra di Al DeNoble che tesse magnifiche melodie in The Darkest Night e Dyonisius che rievocano invece gli anni di Heavy Demons e Black Mass.
Continuando il viaggio all'interno di questo album ci imbattiamo nella traccia più "malata" ovvero Ogre's Lullaby, altra colonna sonora, dotata di un aurea davvero malefica per l'incedere lento e le atmosfere alla "Dario Argento"con la voce di Steve Sylvester che sembra un rantolo. Per certi aspetti sembra un improbabile accostamento tra Marylin Manson e certo black metal sperimentale.
La successiva Santa Muerte si rifà al culto in voga presso i narcos sudamericani ed è il preludio a quello che considero il vero capolavoro dell'intero album: The Song of Adoration, una lunga suite che fa confluire elementi doom, progressive e metal uniti ad elementi arabeggianti ed egizi.Un viaggio, quasi psichedelico, che merita svariati ascolti per carpire al meglio le innumerevoli sfumature presenti all'interno di esso: in questi nove minuti la band di Steve Sylvester ha davvero superato se stessa con una composizione maestosa.
A chiudere l'album troviamo la scanzonata Bad Luck, un rock and roll alla Alice Cooper, che vuole mandare a quel paese i detrattori della band che da anni si sono trincerati dietro la solita solfa che i Death SS portino sfiga...ecco servita la risposta!!
A conti fatti il ritorno discografico di Steve Sylvester è davvero gradito, vista l'alta qualità dei pezzi presenti sull'album, anche perchè non ho mai creduto fino in fondo alla morte discografica di questa band, visto che ha ancora parecchio da dare al suo pubblico. Evidentemente si era esaurito un percorso e serviva del tempo giusto per ricaricare le pile e tornare a cavalcare l'Apocalisse come raffigurato nella cover di questo album!
Bentornati!!!
WWW.DEATHSS.COM
www.facebook.com/deathssofficial
The Cursed Coven (Official Death SS Fan Club)
spotify:album:5TmUZi4bF400emQSh0HDO3



venerdì 7 giugno 2013

Raining Rock Jettblack ( Spinefarm Records/Universal 2013)












Negli ultimi anni, nel Regno Unito, è rinato un notevole interesse nei confronti di sonorità anni Settanta e Ottanta, legate al periodo d'oro dell'hard rock e del metal. A partire da reunion e festival fino al proliferare di numerose bands che hanno creato una nuova scena parallela ai trend musicali che vanno per la maggiore.
Tra questi ecco i Jettblack, giovane band proveniente da Wycombe con un esordio discografico nel 2011 e numerose apparizioni sui palchi dei maggiori festival targati UK.
Con questo Raining Rock arrivano a dare un seguito al loro fortunato debut, regalandoci una sfilza di ottime songs dotate di tiro e melodie a profusione che difficilmente possono lasciare indifferenti.
La title track è un anthem potente sulla scia di Judas Priest e Accept ( tra l' altro vi è anche una versione con special guest proprio Udo Dirchschneider) e va diretta dove deve colpire: nelle palle!
Anche la successiva Less Torque,More Rock affonda i denti nell'hair metal anni Ottanta con chitarre grintose e cori melodici che avrebbero fatto fortuna sui dischi di Warrant e Whitesnake.
Proprio la band del vecchio Coverdale viene presa come fonte d'ispirazione per Prison of Love, un' altra anthemica ballad che negli anni giusti avrebbe sfondato le rotation di radio e TV.
Tra i pezzi migliori Something About This Girl, con un chorus davvero catchy e la veloce System, dove i Nostri non esitano a pestar duro.
L'album si chiude con una ballad, The Sweet and the Brave, con ottime aperture melodiche e con arrangiamenti che la valorizzano ancora di più.
In sostanza i Jettblack non inventano nulla di nuovo, ma dimostrano di aver imparato la lezione e di saper scrivere ottime canzoni, ritagliandosi cosi il loro spazio  nella nuova scena hard rock inglese.
Da seguire!
I hear the drumming of thunder,
The rumble of rain,
A wail on the wind,
And the voice of pain,
So I step outside to find it's raining rock and roll

The air is getting heavy,
The metal has come to touch,
The sky turns a brutal black,
And breathing becomes too much,
So I step outside to find it's raining rock and roll,
So I step outside to find it's raining rock and roll,
Yeah
www.myspace.com/jettblackuk

www.facebook.com/jettblackuk
spotify:album:0TCHEW1rekATyL1U65SK6i


mercoledì 29 maggio 2013

The Seeds of Foolishness Extrema (Fuel Records 2013)

        
                                                                                                                                                                         
Se penso ad una band che ha rappresentato la mia gioventù costellata da concerti e pogate, ecco mi vengono in mente gli Extrema! La band milanese era sempre on the road, pronta a far divertire e spaccare sul palco, ha aperto per i Metallica sotto un diluvio universale nel 1993 al Delle Alpi di Torino e considero il loro album "Tension at the Seams" un capolavoro, che ad oggi, custodisco in vinile e non ha perso un oncia della sua carica.
Poi con gli anni le nostre strade si sono un pò allontanate, anche se dal vivo, quando capita occasione non me li faccio mancare,ma dal punto di vista discografico hanno vissuto alti e bassi ,che, comunque con orgoglio e passione hanno contraddistinto la loro lunga carriera.
E adesso mi trovo tra le mani questo The Seeds of Foolishness, un disco che li rilancia in pieno: un ambizioso concept sulle teorie degli Illuminati e sui complotti massonici che disegnano le trame occulte di questo mondo, ma anche un ottimo album di modern metal, curato alla perfezione con davvero tanta carne al fuoco e che cresce ascolto dopo ascolto.
Quello che salta subito all'orecchio è l'alto livello compositivo e la vasta gamma di riff e assoli che portano a canzoni strutturate ed elaborate, ma anche l'eterogeneità di suoni è davvero ad ampio raggio.
Si va dal classico "Pantera Sound" che spesso si trova tra le canzoni degli Extrema, diventando un pò il loro trademark fino al "Bay Area Thrash" di stampo classico, soprattutto in tracce come l'opener Between the Lines, tellurica e carica di riff, o come Pyre of Fire,da cui è stato girato il primo video.
Se i primi quindici minuti non vi hanno ancora fatto staccare la testa dal collo, ci penserà Ending Prophecies, davvero superba nei suoi continui cambi di atmosfere e passaggi degni dei migliori Meshuggah, mentre Again and Again mi ricorda i Faith No More più aggressivi, soprattutto nel cantato di GL Perotti, una vera sorpresa, che in questo disco supera se stesso per come sfrutta le sue abilità canore: dal growl allo scream fino ad un cantato melodico: Una grande prestazione che si estende a più livelli. Provare per credere, ascoltando Bones, un hard rock psichedelico che ricorda gli Alice in Chains più cupi.
Il finale è affidato a Moment of Truth, una ballad dal sapore southern che chiude alla perfezione questo album.
Ad ogni modo se certi paragoni sono inevitabili, è fuori dubbio che questo sia un disco maturo che si regge in piedi da solo: una rinascita per gli Extrema, che negli ultimi anni avevano avuto qualche appannamento, ma che hanno saputo tirar fuori dal loro cilindro un lavoro ambizioso ed al contempo fresco e carico di energia.
Anno 2013..è ancora tempo per il loro "fottuto massacro collettivo!!!"
P.S.
Il prossimo 25 giugno il "massacro" si compirà prima dei Motorhead a Milano!!
ww.extremateam.com
spotify:album:7767iviQHnBsOsjfODquqa





lunedì 8 aprile 2013

Above Mad Season (Columbia records 1994)












Se il 1991 aveva visto i Temple of the Dog evocare l'alba di una nuova era musicale e tenere a battesimo quello che fu comunemente chiamato "Grunge", i Mad Season ne pongono il sigillo ed il suo definitivo tramonto, grazie a questo unico, ma meraviglioso album datato 1995.
Ma partiamo dall'inizio, ovvero in quella Seattle, culla di geni musicali e di una scena prolifica con i fari dei mass media puntati addosso, dove un chitarrista, Mike McCready, transfugo dai Pearl jam post Vitalogy, un batterista, John Baker Saunders, turnista  ed un cantante, Layne Staley ,voce degli Alice in Chains si ritrovano in una clinica di disintossicazione dove, tra una rehab e l'altra decidono di jammare un pò , lasciando libero sfogo al loro genio creativo.
In poco tempo reclutano un bassista, Barret Martin, in forza agli Screeming Trees e danno un nome alla loro creatura: Mad Season, il nomignolo con cui si indica la stagione di "sbocciatura" di alcuni funghi allucinogeni.
In pochi mesi la band inizia ad esibirsi in alcuini locali della città, attirando su di sè le attenzioni dei fans e creando il giusto "buzz" affinchè venga proposto loro un contratto discografico, magari di una major, che cavalca cosi l' onda dell'entusiasmo.
Il risultato è Above, che vede aggiungersi all'ultimo momento, un altra celebrità "tossica" della città, Mark Lanegan, voce dei già citati Screeming Trees per la formazione finale del supergruppo grunge.
Uno dei punti di forza di questo album è la spontaneità, il non trovarsi di fronte a qualcosa di costruito a tavolino per vendere meglio il prodotto. I brani sono frutto di sessions tra grandi musicisti che veicolano nella loro arte i demoni interiori e provano così a scrollarsi di dosso il peso del successo delle loro band madri, per tornare a suonare in maniera spontanea come agli esordi della loro carriera.
E' soprattutto McCready che ha più spazio per il suo talento compositivo, spesso soffocato nei Pearl Jam dalle personalità forti e carismatiche di Gossard e Vedder. La sua chitarra ricama e cesella riff , crea grandi melodie, come nella ballata River of Deceit, la " Little Wing" dei Mad Season, triste ed uggiosa come una delle tante giornate di pioggia che si abbattono su Seattle. Anche Layne Staley mette da parte le sue urla disperate per un approccio più soft ed intimo, un cantare vero che però continua a buttare fuori veleno ( My pain is self chosen è forse la frase simbolo di questoalbum).
Ci sono tanti stili che si incrociano in Above,a partire da quel giro di basso iniziale che introduce Wake Up, un sinistro minimalismo che piano piano cresce, accompagnato dalla chitarra di McCready. libera di volare e dalla litania di Staley, traghettatore in questo " fiume di disagio"; si passa a echi più hard rock oriented  in I'm Above, figlia dei Black Sabbath più allucinati fino al blues di Artificial Red, lunga nenia pervasa da quel atmosfera junkie che solo quattro musicisti affetti da dipendenze possono creare.
Il senso di meravigliosa angoscia cresce sempre di più, ascolto dopo ascolto, e se X-Ray Mind e I Dont Know Aything ci riportano su territori già tracciati dagli Alice in Chains ( giusto per non abbandonare le radici) è Long Gone Day il capolavoro di questo disco: una crepuscolare ballata pregna di atmosfere noir( vi sono anche stacchi di sassofono), dove il duetto tra Staley e Lanegan raggiunge il suo apice, un morboso intreccio di disagio e disincantata resa dei conti nei confronti della vita.
See you all from time to time
Isn't it so strange
How far away we all are now
and i'm the only one who remembers that summer
Oh, I remember
Everyday each time the place was saved
The music that we made
The wind has carried all of that away

Lo strumentale November Hotel, ennesimo frutto di jam sessions in sala prove è il preludio alla concluisva All Alone che con il suo lapidario refrain "...We're All Alone...", lascia davvero poche speranze su come andrà a finire questo viaggio.
Eccolo qui, quindi, l'ultimo documento sonoro di quei fantastici anni, il sigillo che chiuderà  un  epoca che ha visto forse l'ultima rivoluzione rock vera e propria, l'ultimo e angoscioso canto di libertà di una scena, quella di Seattle che si disgregherà definitivamente lacerata dai mass media, dalla moda e purtroppo dall'eroina.
John Baker Saunders morirà nel 1999..
Layne Staley nel 2002...
https://www.facebook.com/MadSeason
spotify:album:1B9Yu846vE9uPFzFA6hHBF































giovedì 4 aprile 2013

Dobermann (Doghouse Music 2012/Autoproduzione)













Prendete un quarto di AC/DC, un quarto di Motorhead d'annata, un quarto di Ramones ed un quarto di Sex Pistols, mescolate bene e decorate con della sana ignoranza da strada, maturata  con anni  di esperienza rock and roll sulle spalle: ecco pronti i Dobermann, power trio da Torino che si presenta con questo primo, omonimo album che non lascia prigionieri.
Debutto si, ma chi sta dietro al monicker è attivo da parecchi anni e vive e respira strada e rock, per questo il disco in questione non è uno di quei prodotti costruiti a tavolino, ma ringhia e morde con ferocia, proprio come il dobermann in copertina.
Le dieci tracce in questione ( più intro) hanno un tiro giusto e coinvolgente, complice anche la produzione, affidata ai Finnvox Studios di Helsinki, mecca del suono per i rockers dei primi Anni Duemila. Ma si sa, la tecnologia aiuta, ma se la sostanza manca può fare davvero poco: fortunatamente qui di sostanza e attitudine ce ne è davvero tanta:  punk fino al midollo e tanta tecnica al servizo di una manciata di canzoni che chiedono solo di essere scoperte e cantate.
La peculiarità della band è il cantato in italiano, scelta che può essere ostica, ma alla luce dei fatti dà ragione, visto che le tracce crescono ascolto dopo ascolto, e se quello che conta all'inizio è solo l'impatto, non vi sembrerà strano iniziare a canticchiare i ritornelli di questo album.
Tra gli highlight c'è sicuramente l'aggressiva ma melodica Rosso e la "punk rock song" Mi  Sono Trasformato in un Robot, inno all' alienazione della società odierna fedele al motto -Nasci, Consuma, Crepa-.
Davvero azzeccata la cover in italiano di Antisociale ( A Testa Bassa) che i metallari con qualche primavera in più  alle spalle la ricorderanno fatta dagli Anthrax ai tempi di State of Euphoria.
Con Tutto Ok si sbatte contro un muro di suono potentissimo per una canzone che elargisce calci in culo talmente suona piena e potente.  Da segnalare la versione in inglese, Fear of the UK, messa come bonus finale, un perfetto mix punk'n' roll.
Il finale è per il manifesto della band, Quando l'Asfalto Grida: colate di metallo fuso che si sciolgono su riff  quadrati per una vera e propria dichiarazione di intenti
Ti sembra una sfida quando l'asfalto grida
è come un gioco con i colori del fuoco
raccogli la sfida quando l'asfalto grida
randagio che fa da detonatore per la tua libertà
I Dobermann sono questi, niente di più, niente di meno: lontani dai facili intellettualismi, ma vicini alla vera vita on the road, pronti a mettere a ferro e fuoco i palchi dove vengono chiamati ad esibirsi. Cercate sul loro sito la data più vicina a voi e andate a vederli. Non ve ne pentirete!
http://www.dobermannweb.net/
https://www.facebook.com/dobermann666


sabato 23 marzo 2013

Play the Funk The Full Treble (Moquette Records 2012)












E' sempre la Brianza che mi regala qualche chicca musicale, che affiora setacciando quà e la l'underground locale. Già in passato avevo speso lodi per il proliferare di un'attiva scena musicale in questa zona della Lombardia e noto che con il passare del tempo, il fermento sonoro non va certo scemando.
Ora è il turno dei Full Treble, punk rock trio che vanta nel suo curriculum un debutto discografico sotto Poison Tree Records, etichetta losangelina di  culto specializzata in garage punk.
Ora, questa seconda fatica datata 2012, esce per Moquette Records, label che da qualche anno si rivela molto attenta al sottobosco musicale locale e questo Play the Funk ne conferma il fiuto eccezionale per la buona musica.
Comincio subito a dire che di funk non c'è assolutamente nulla, ma ci troviamo di fronte ad una mezz'ora abbondante di garage/punk rock tirato che mi ricorda molto bands come New Bomb Turks e Rocket from the Crypt, soprattutto per gli inserti di tromba ben innestati in alcuni brani, come la title track o Deaf Stone Blues, il brano più lungo con il finale spettacolare con tromba e piano honky tonky.
I suoni sono perfetti e gli undici brani presenti hanno un ottimo tiro, con in evidenza il basso martellante e metallico che salta subito all'orecchio per l'ottimo lavoro che svolge.
Il mio pezzo preferito è Endless Routine, di cui tra l'altro è stato girato anche un video, legnata punk rock veloce e sguaiata con un miniassolo che avrebbe fatto la gioia di qualsiasi punk rocker Anni Novanta fan delle uscite targate LookOut Records.
Ad ogni modo andate a sentirvi il disco in questione, diponibile in streaming anche sul sito della band e vedrete che non vi annoierete di certo!!!
Ancora cose buone dalla Brianza Rock!!!
Play the Funk disponibile in streaming
https://www.facebook.com/TheFullTreble


mercoledì 6 marzo 2013

Have You Ever Seen the Rain? A post about Credeence Clearwater Revival














Ho sempre pensato ai Creedence Clearwater revival come ad una band imprescindibile, uno di quei gruppi le cui canzoni le conosci da sempre e, soprattutto le conoscono tutti, un pò come i Ramones per il punk o i Deep Purple per l'hard rock. Complici alcune hit (nel loro caso una abbondante mezza dozzina) che hanno strapazzato le classifiche quasi cinquant'anni fa, diventando cosi patrimonio della memoria collettiva del popolo rock e non solo, i CCR sono stati una fulgida meteora che ha brillato per circa un lustro, ma i bagliori che ha lasciato dietro di se si percepiscono ancora a distanza di decenni.
La band, guidata dai fratelli Fogerty, in particolare da John si affaccia verso la seconda metà degli anni Sessanta, in un panorama musicale in fermento per la nuova era psichedelica, dove i mostri sacri, in preda agli eccessi lisergici si lasciano andare a lunghissime suite musicali e la controcultura hippie la fa da padrona.
Ecco, in questo contesto i CCR si riappropriano delle radici musicali dell'America, quella "roots music" che abbraccia il blues del Delta, il folk, il country sudista ed il buon rock and roll del decennio precedente. Praticamente una mosca bianca che offre hit da pochi minuti, senza assoli ma dall'impatto devastante, destinate a diventare dei capolavori immortali.
L a sezione ritmica è il punto di forza: scarna, semplice ma che colpisce diretta al punto, facendo muovere mani e piedi. La voce di Fogerty è un urlo rauco, figlio delle paludi della Louisiana, patria di blues e voodoo, tanto che nel loro primo album viene coverizzata I Put a Spell on You di Screaming Jay Hawkins, vecchio cerimoniere della Musica del Diavolo. Le chitarre strimpellano accordi semplici e lineari come nella migliore tradizione folk-country, basti pensare a Proud Mary, la loro hit di maggior successo, presente nel loro secondo album, un tributo al Grande Fiume, il Mississippi, fonte di ispirazione e di vita, una colonna sonora per qualsiasi aspirante Huckelberry Finn.
Nonostante quelli furono anni di gran fermento politico e sociale, i CCR si distanziarono dagli intellettualismi della scena musicale, preferendo di gran lunga suonare, facendosi conoscere un pò dappertutto: una vera attitudine "Working Class" che costò a loro parecchie critiche, figlie di un epoca dove l'importante era schierarsi. A loro modo però, John Fogerty e soci riuscirono ad esprimere il loro messaggio sociale, soprattutto nel  quarto album "Willy and the Poor Boys", dove per la prima volta si tratta il tema della guerra, come nella hit rock and roll Fortunate Son
Some folks are born made to wave the flag,
Ooh, they're red, white and blue.
And when the band plays "Hail to the chief",
Ooh, they point the cannon at you, Lord,
It ain't me, it ain't me, I ain't no senator's son, son.
It ain't me, it ain't me; I ain't no fortunate one, no,
Yeah!

Some folks are born silver spoon in hand,
Lord, don't they help themselves, oh.
But when the taxman comes to the door,
Lord, the house looks like a rummage sale, yes,
It ain't me, it ain't me, I ain't no millionaire's son, no.
It ain't me, it ain't me; I ain't no fortunate one, no.

Some folks inherit star spangled eyes,
Ooh, they send you down to war, Lord,
And when you ask them, "How much should we give?"
Ooh, they only answer More! more! more! yoh,
It ain't me, it ain't me, I ain't no military son, son.
It ain't me, it ain't me; I ain't no fortunate one, one.
It ain't me, it ain't me, I ain't no fortunate one, no no no,
It ain't me, it ain't me, I ain't no fortunate son, no no no

La denuncia al sistema è palese e diretta e anche i critici più strenui iniziano a capire la portata di successo di una band  come i Creedence.
Il disco successivo Cosmo's Factory è da considerare il capolavoro della band, un album completo e maturo che mostra tutte le sfaccettature che hanno delineato le caratteristiche dei CCR, trainato dal singolo Who'll Stop the Rain, arioso e melodico ma pungente contro la guerra, rimane il più grande successo commerciale di Fogerty e soci. La versione "espansa" di I Heard it Through the Grapevine è monolitica cosi come la ballata soul  Long as I can See the Light, impreziosita da un solo di sax che le conferisce un mood molto notturno e noir. Il rock and roll sfrenato viene citato da Travellin Band, manifesto della vita on the road  di chi ha scelto di fare il musicista, mentre Run to the Jungle è l'ennesima invettiva anti Vietnam.
Purtroppo quando arrivi in alto puoi solo scendere e da questo momento inzia la parabola discendente dei CCR, che fanno altri due dischi fiacchi e poveri di idee (anche se riescono a regalare un altra perla: Have You Ever Seen the Rain) prima di sciogliersi definitivamente dopo un quinquennio di piena attività.
Da qui in poi ognuno dei musicisti coinvolti prenderà strade diverse, anche se solo John Fogerty riuscirà a costruirsi una carriera di tutto rispetto, a conferma del fatto che la mente dietro la band era lui, autore di gran parte dei pezzi e cuore pulsante ei Creedence.
Cosa rimane a questo punto? Una grande, enorme eredità musicale che va aldilà dei singoli brani, ma che getta un ponte tra la tradizione americana ed il rock and roll e si protrae avanti per oltre cinquant'anni, influenzando schiere di musicisti a venire. Basti pensare a quante band hanno coverizzato i pezzi dei Creedence: da Springsteen ai Ramones passando per Dropkick Murphys (tra le nuove leve) fino a Lucio Battisti.
Forse l'appellativo di American Band calza davvero a pennello su di loro, i primi a portare al grande pubblico quell'immaginario fatto di Route 66, Nevada, Elvis Presley, New Orleans e la Louisiana,il Delta del Grande Fiume e le camicie di flanella  in un epoca dove la bandiera a stelle e strisce era un peso da portare tanto quanto la loro presenza a Woodstock, una sfida vinta verso chi li osteggiava per non schierarsi apertamente con la rivoluzione.

Put a candle in the window, but I feel I've got to move.
Though I'm going, going, I'll be coming home soon,
'Long as I can see the light.

Pack my bag and let's get movin', 'cause I'm bound to drift a while.
Well I'm gone, gone, you don't have to worry no,
'Long as I can see the light.

Guess I've got that old trav'lin' bone,
'cause this feelin' won't leave me alone.
But I won't, won't be losin' my way, no, no
'Long as I can see the light.

http://creedence-revisited.com/
http://www.johnfogerty.com/