sabato 5 luglio 2014

Temperance Movement The Temperance Movement (Earache Records 2013)












Per la serie corsi e ricorsi storici, da qualche anno a questa parte stiamo assistendo ad un ritorno a sonorità vintage, figlie degli Anni Settanta, di quell'hard rock sincero e sanguigno che ha fatto scuola e basti pensare a nomi come Rival Sons, Scorpion Child, Wolfmother o i Black Star Riders per creare un vero filone di musica per nostalgici.
Aggiungerei anche questi The Temperance Movement, band scozzese che sta alimentando le speranze dei rockers di oltremanica e non solo, tanto da essere messa sotto contratto dalla Earache Records, label storica specializzata in metal estremo, ma che negli ultimi anni sta ampliando i propri orizzonti.
Questo loro debutto, segue l'EP apripista Pride del 2010 ed è formato proprio dai cinque pezzi di quell' esordio più altri brani inediti, in bilico tra hard rock, southern e soul, magistralmente interpretati da questo nugolo di musicisti, abbastanza scafati nei meandri della musica rock ( c'è chi ha fatto il turnista per Jamiroquai ed i Deep Purple, mentre il cantante è l'ex voce dei Reef, hard rock band anni Novanta), che hanno scelto di unirsi sotto questo curioso monicker ( The Temperance Movement era un movimento proibizionista inglese dei primi del secolo scorso) e candidarsi come la prossima "next big thing".
L'opener Only Friend è massiccia nel suo guitar riffing e spazia tra il southern ed il soul e non possono non venire in mente i Black Crowes di Amorica, grazie anche alla voce calda ed intensa di Phil Campbell, ma è sulle ballad che i Nostri si giocano le carte migliori: Pride, Chinese Lanterns, Lovers and Fighters, Smouldering e Serenity sono tutti brani di atmosfera, giocati su toni soffusi dove la voce e il meraviglioso lavoro di fino delle chitarre creano atmosfere incredibili. Ogni band che si rispetti ha scritto ballad o pezzi lenti, ma per rendere un pezzo indimenticabile bisogna buttarci dentro l'anima e questi TTM di "soul " ne hanno da vendere.
Ad ogni modo non pensate che il lato soft sia la caratteristica principale di questa band, perchè quando questi ragazzi devono pestar duro e schiacciare sull'acceleratore non si tirano di certo indietro, basti pensare a Midnight Black, veloce e tirata (cosa sarebbe con una sezione fiati dietro a spingere su quel chorus!!), oppure a Take It Back con i suoi "ohoh oh oh" trascinanti (un pò come Chelsea Dagger dei Fratellis) o Be Lucky, altra gemma hard rock che farebbe impazzire i fan dei Free.
Ma l'highlight è Ain't No Telling, intensa con le carte giuste per passare alla storia, fatta apposta per chiudere un concerto e trasformare quei pochi minuti in un momento di estasi collettiva.
A differenza di tante meteore, questo disco ha almeno sei-sette brani potenziali singoli, che fanno venir voglia di ascoltarli e riascoltarli e non mi parrebbe strano se un giorno dovessero essere passati in rotazione su qualche radio rock.
Forse la prossima "next big thing" è davvero arrivata!
TTM Official Site
TTM Facebbok Page
The Temperance Movement – The Temperance Movement (Spotify)

martedì 17 giugno 2014

In Te Ho Sognato..In Te Spero di Morir Mosche di Velluto Grigio (autoprodotto 2014)












Rinasce sulle sponde del fiume Po, tra i suoi canneti ed ii filari di alberi, la tradizione folk italiana, un ideale ponte tra la Bassa Padana e la Verde Irlanda  che viene proposto dalle Mosche di Velluto Grigio, band che celebra il celtic folk (o anti folk come amano definirlo loro) tra poesia, rabbia ed alcol.
Avevo avuto modo di recensire il loro precedente EP ed ora, ecco tra le mani questo nuovo lavoro, dall'affascinante titolo "In Te Ho Sognato... in Te Spero di Morir", dodici brani che spaziano dal folk al punk con un occhio di riguardo ai testi che sfiorano il cantautorato e sanno ancora fare centro raccontando profonde storie che non mancheranno di lasciare il segno nell'ascoltatore.
L'intro The Bastards omaggia i Murphys più alcolici e sgangherati ed è un ottimo biglietto da visita delle MDVG che da qui in poi ci accompagneranno nel loro mondo, fatto di storie di strada, ricordi e personaggi lontani nel tempo che ricordano il Davide Van de Sfroos più intimo ed ispirato. Pezzi come Quell'Uomo a Varano o Il Capitano Jones sono affreschi intrisi di malinconia e ricordi che prendono vita grazie all'ottimo songwriting della band.
Ma c'è anche un'animo combat e ribelle, quello dei pugni chiusi in cima alle barricate come in 25 Aprile, belligerante ed anthemica che affonda i denti e le unghie nella memoria storica oppure in Gli Spari su Londra dove fa anche capolino il sax, strumento un pò atipico per questo genere, ma che conferisce alla band più spessore ed anche originalità.
Uno degli highlight del disco è Dolcissima Strega del Mare,  intensa e struggente ballad dai toni noir che mi ricorda molto i "sea shanties" del tempo che fu. Qui le liriche fanno davvero la differenza conferendo un aurea poetica e malinconica a questa splendida canzone.
Ci sono anche pezzi cantati in inglese, piccole schegge folk come A Long Lament for an Old Friend o Maggie Dickson's Pub che sa sconfinare in territori quasi reggae.
Con Occhi Chiusi da Un Pò si giunge verso la conclusione ed i Nostri si cimentano con successo nel creare la loro "and the Band Playing Waltzing Matilda", tanto crepuscolare quanto solenne nel suo incedere finale.
Andate a scoprire questa realtà tutta italiana, ascoltando la loro musica vi sembrerà di sorseggiare un buon whisky delle Highlands, forte e brusco al palato, come il vento che spazza quelle lande, ma che una volta assaporatolo per bene darà calore e conforto al vostro cuore solitario.
http://www.moschedivellutogrigio.com/
https://www.facebook.com/pages/Mosche-di-Velluto-Grigio/191635417517388
Spotify

martedì 27 maggio 2014

It Doesn't Work Yerbadiablo (Atomic Stuff Records 2013)












Yerbadiablo...ammetto che, in principio, un nome così mi ha fatto pensare subito a torride sonorità desertiche, volumi saturi e progressioni devastanti tipiche dello stoner di fine Anni Novanta. Invece con mia grande sorpresa, mi ritrovo una band dedita ad eclettiche sonorità, che spaziano a 360 gradi e sono figlie di una mentalità e di una cultura che affonda le proprie radici nei Seventies.
Gli Yerbadiablo, provenienti da Bologna, sono al loro secondo album e per rendere meglio l'idea che si possa avere riguardo la proposta musicale,vi invito ad immaginare un'improbabile incontro tra Pink Floyd e Beatles, King Crimson e Stooges e Fleet Foxes e Queen of the Stone Age come riferimento per la musica attuale: in poche parole la band bolognese crea un sodalizio progressive-alternative che lascia davvero ben sperare.
Sin dall'opener Hemp Generation si tracciano linee space rock, con innesti di sax che tracciano percorsi quasi noir, ma andando avanti con l'ascolto delle altre canzoni risaltano anche tracce pop e folk come in Black Bird, dove i Beatles più psichedelici convivono con un anima pop rock. Inoltre la scelta di cantare sia in inglese che in spagnolo, da un tocco di originalità in più alla proposta degli Yerbadiablo, che non dimentichiamolo, danno molta importanza anche ai testi , sempre improntati all'attualità e all'impegno sociale, altra tipica caratteristica di molte band degli Anni Settanta (vedi gli Area per esempio).
Se in Habemus Punk esce l'anima più grezza e stradaiola della band è in Rattlesnake Tail in the Belly of the Whale, che convive la sperimentazione più folle, come se Frank Zappa avesse potuto jammare con i Primus di Les Claypool.
Il finale Pink Clous Purple Eyes invece ci porta in territori più rilassanti ed onirici, quasi a disegnare i paesaggi desertici che avevo citato in apertura, uno strumentale che rievoca le Desert Sessions di Josh Homme e che ci culla dopo un viaggio intenso che richiede parecchia dedizione.
Un buon lavoro che porterà parecchie soddisfazioni a questa nuova realtà underground italiana, una band che dimostra di aver le carte giuste per crescere ed espandere i propri territori musicali e,magari in futuro rendere più personale la propria proposta, per adesso ancora figlia di derivazioni musicali ancora evidenti.
Facebook Yerbadiablo page
Atomic Stuff Records


sabato 10 maggio 2014

Anthological Disease Temporal Sluts (Hate Records 2013)













Se apro il mio cassetto dei ricordi e faccio un salto all'indietro di circa vent'anni fa, non posso fare a meno di riesumare una serata estiva in quel di Cantù, dove nel parchetto comunale nel centro cittadino, si tenne un concerto-evento come pochi: The Humpers, punk rock band americana, all'epoca fresca di contratto Epitaph, in una tappa del loro mini tour italiano. Ricordo l'attesa e l'euforia per un simile evento, mosca bianca nelle tediose sere brianzole, ma anche sinceri apprezzamenti per il gruppo che suonò prima di loro, i Temporal Sluts, eccezionale act made in Como, che all'epoca iniziava a raccogliere molti consensi soprattutto all'estero.
Dopo quasi vent'anni, costellati da cambi di line up, sfighe, tour e una miriade di singoli,sette pollici e split, tutti rigorosamente licenziati da etichette indipendenti di mezzo mondo, ecco una raccolta semidefinitiva della loro svariata produzione.
Il bello dei Temporal Sluts era (anzi è ancor oggi) quella enorme e dirompente carica che ha sempre contraddistinto il loro punk 'n' roll perennemente in bilico tra il punk 77 e la decadenza di Stooges, Dead Boys e Johnny Thunders. Il loro sound è abrasivo e veloce e la loro mentalità ha sempre guardato oltre i territori italici, tanto che la loro ventennale carriera li ha portati ad esibirsi in Europa e negli States in compagnia di nomi celebri della storia punk mondiale.
Riascoltando i pezzi di questo cd, mi son ritornati in mente i bei tempi dove ordinavo i loro singoli da qualche fanzine o liste di distribuzione "do it yourself", quelle belle scritte fitte fitte con centinaia di nomi e titoli, per poi far girare sul piatto del giradischi schegge di rock and roll come Mafia Boys, Kill me Again o Sex Pope, estratto dallo split proprio con quegli Humpers citati poco fa.
Se vi va di andare a lezione di storia, recuperate questa raccolta, testimonianza di una band che avrebbe dovuto raccogliere molto più di quanto abbia mai seminato, ma che ha lasciato comunque un grande segno nella scena punk rock italiana e più nello specifico, comasca!
Love is a Dog from Hell!!!!!!!!!!!
https://www.facebook.com/TEMPORALSLUTS
http://www.reverbnation.com/temporalsluts


martedì 22 aprile 2014

Let's Do It Again Giuda (Fungo Records 2013)












Devo dire che ho sempre provato un senso di nostalgia e di invidia verso la Londra Anni Settanta con quel immaginario fatto di tamarissimi lustrini glam, canzoni da jukebox da cantare a squarciagola al pub dopo svariate pinte trascinati dai loro "stomping rhythm", senza dimenticare le terraces degli stadi inglesi, con la folla che ondeggiava e cantava senza sosta, magari infagottata con enormi sciarponi a righe e gli immancabili "boots" ai piedi, i giocatori in maglia stretta con basettoni enormi e capigliature lungocrinite, cosi lontani dai divi "plastificati" dei giorni nostri.
Tutto questo preambolo per presentare i Giuda, band romana, che con questo secondo album ci riprova a riportare la macchina del tempo indietro di quasi quarant'anni, epoca dove dominavano Gary Glitter, Marc Bolan, il pub rock con Sweet e  Slade con le loro hit da classifica per far ballare e saltare generazioni intere di teenagers.
Let's Do It Again è il secondo album, un lavoro che sta riscuotendo grandi successi non solo in Italia, ma anche in Europa, perchè la proposta dei Giuda è dannatamente valida, fatta da musicisti che credono fino in fondo in quello che fanno e che curano la loro proposta fin nei minimi particolari, dalla cover dell'album (imperdibile il vinile!), fino alla registrazione, rigorosamente in analogico con strumenti volutamente vintage Anni Settanta.
Le dieci tracce che compongono il disco sono veri e propri inni, a partire dal singolo, Wild Tiger Woman, opener dell'album, perfetto nella sua semplicità che colpisce lo stomaco e le palle dell'ascoltatore.
Con Yellow Dash si rispolverano i chitarroni "tamarri" di Marc Bolan ed i suoi T. Rex, mentre Get That Goal è fatta da cori da stadio e battimani, a sottolineare ancora una volta il connubio tra musica e calcio, altra grande caratteristica della cultura british.
Teenage Rebel è un altro anthem perfetto, irresisitibile come lo è Hold MeTight che chiede solo di essere imparata a memoria e cantata senza freni.
Le indiavolate Rave On e Get on The Line sono figlie dei primi AC/DC, quelli di High Voltage e TNT, scosse di irrefrenabile rock and roll, semplice, diretto ed immortale!!
Se mai ci dovesse essere un Diluvio Universale nel panorama rock odierno, vorrei che tra le 40 bands superstiti trovassero posto i Giuda con il loro sound volutamente retrò ma splendidamente sincero e travolgente.
Provate a mettere sul piatto questo disco o concedervi una serata sotto palco con i Giuda e vedrete che non riuscirete a stare fermi per più di due secondi per trovarvi sudati e felici dopo esservi sgolati al grido di "Come On Giuda, Get That Goal!!"
www.giuda.net
https://play.spotify.com/artist/1h4q
https://www.facebook.com/pages/Giuda/162619653788119

lunedì 7 aprile 2014

Leave it Behind The Peawees (Wild Honey Records 2011)












Sono passati davvero tanti anni da quando, per la prima volta; ascoltai la band spezzina dei Peawees: erano gli anni Novanta e giravano i loro primi sette pollici, le loro prime apparizioni alle compilation punk e nelle scalette dei concerti  italiani. I loro album erano incendiari ed oltre alle influenze "ramoniche", vi si potevano trovare tanti riferimenti al rock and roll dei tempi d'oro.
Ma è con questo Leave it Behind che i Nostri fanno finalmente il salto di qualità, che dovrà permettere loro di farsi conoscere ben oltre la cerchia degli "aficionados" dei tre accordi e via.
LIB è un disco maturo, adulto, ricco di energia e splendidamente vintage, uno sguardo al passato, al Rock and Roll degli Anni Cinquanta, ma anche al Soul ed al Rhythm and Blues dei Sixties,senza dimenticare le svisate garage/protopunk della Detroit Rock City.
In questi solchi Hervè Peroncini ed i suoi boys hanno superato se stessi, trovando finalmente il giusto sound, che da anni inseguivano, impomatando di brillantina il loro punk rock, un pò come fecero i Clash  o i Social Distorsion anni prima, inseguendo le polverose highway americane per perdersi in qualche fumosa bettola, suonando un rock and roll sudato, caldo e maschio.
Il quartetto iniziale Food for My Soul-Gonna Tell-Memories are Gone e Don't Knock at my Door hanno il potere di stendere chiunque, far muovere i piedi e battere il cuore, grazie a quelle ritmiche sincopate, alle chitarre sferraglianti e a quelle backing vocals femminili che mi riportano alla mente i Commitments di Alan Parker.
Digging the Sound è working class e trasuda la rabbia black di chi cerca il proprio riscatto.

I don't know why but i got into a fight
I gave and got and i still don't know why
My face was bleeding and i couldn't see
Then i cleaned up now thats where i am

Is that you?
Got a broken nose, so desperate
Now my world is just a mess because of you
You are my angel
yeah, you were my angel and now you are gone
Took my bleedin' face to the car
Someone asked if everything was alright
I said yes cause i had all i wanted
Cause i was diggin' the sound


cosi come lo sono le atmosfere di Good Boy Mama, ritmi soffusi per una hard ballad che parla di guai e tempi duri.
Danger è puro garage'n'roll e otterebbe la benedizione di Iggy Pop ed i suoi Stooges, mentre il finale è puro amarcord  Anni Sessanta, con Count me Out, con le sue melodie da "rebel without a cause" che potrebbero far piangere od innamorare. A voi la scelta.
Per quel che mi riguarda questo album è davvero un capolavoro, un salto di qualità impressionante per una band che non guarda più da diversi anni alla scena italiana, ma vive proiettata all'Europa ed alle vicende a stelle e strisce.
Da ascoltare e riascoltare per imparare una grande lezione di storia!!!
www.thepeawees.it
https://www.facebook.com/thepeawees
Peawees – Leave It Behind


sabato 29 marzo 2014

Deadly Kick for a Fat Fucker The Clamps(Go Down Rec 2014)












Avete presente nel film Pulp Fiction la scena in cui, John Travolta, per far riprendere Uma Thurman da un overdose le inietta una siringa di adrenalina dritta nel cuore e lei, ripresasi di colpo esclama " Che botta, cazzo!Ho detto cazzo che botta!"? Ecco queste sono le mie identiche parole appena ho messo nello stereo questo debut album dei bergamaschi The Clamps, power trio di marcio rock and roll.
Lasciate da parte intellettualismi e vibranti digressioni musicali, in questo cd trovate l'essenza di quello che dovrebbe essere la vostra musica preferita: impatto, violenza ed ignoranza. Un suono pieno e diretto che prende spunto dallo stoner più marcio( Orange Goblin), il punk rock/garage e la prima ondata di rock and roll scandinavo con la benedizione dei Motorhead su tutti!
Dodici tracce che filano via che è un piacere, dall'opener Bones (impreziosita nel finale da un Hammond!) fino alla strumentale Gazza, che potrebbe uscire dai solchi infernali di Bomber del signor Kilmister. Per non dimenticare la triade Loser-Honey-Burn, nella parte centrale dell'album, una legnata tra capo e collo a cui è impossibile rimanere impassibili.
Parafrasando il titolo del cd, questi pezzi sono davvero un "calcio mortale" negli zebedei, puro godimento rock and roll per le nostre martoriate orecchie e fidatevi che anche dal vivo i The Clamps non si fanno pregare nel mettere a ferro e fuoco il palco.
C'e sempre un buon motivo per continuare a credere nel rock and roll!!!!!
Facebook page/The Clamps
www.theclamps.net
Go Down Records