mercoledì 17 luglio 2013

All Hell Breaks Loose Black Star Riders (Nuclear Blast 2013)












In principio ci fu una reunion con lo storico monicker THIN LIZZY, che vedeva il chitarrista superstite Scott Gorham, Brian Downey alla batteria e Darren Warthon alle tastiere, insieme ad altri musicisti, portare in giro per il mondo un tributo alla band irlandese ed al suo leader Phil Lynott, scomparso nel 1984.
Con tutti i pro e contro del caso, in primis, l'utilizzo del nome storico per una tribute band vera e propria, diciamo che l'interesse per i Thin Lizzy si è ridestato ritrovando fans vecchi e nuovi che piano piano hanno affollato  le svariate venues dove i nostri si esibivano.
Della partita hanno preso parte l'ex Almighty Ricky Warwick, il bassista Marco Mendoza ed in seguito Jimmy DeGrasso(batteria) e Damon Johnson (chitarra) e tra un tour e l'altro ecco prendere vita l'ipotesi di scrivere pezzi nuovi per far rivivere il mito Thin Lizzy, senza però utilizzare di nuovo il monicker storico, ma dando vita ad una seconda incarnazione denominata appunto Black Star Riders.
Fatto il giusto preambolo vado diretto al sodo e quello che mi appresto a recensire è davvero un gioiello di puro hard rock, semplice diretto e live, con pezzi che sono destinati ad entrare in testa ( e speriamo nella storia) già dopo pochi ascolti.
Il filo diretto che lega il passato ed il presente è davvero unico, con il songwriting di Warwick che si cala alla perfezione nel mito di Lynott, senza però mai cadere nel banale, ma celebrando il giusto tributo.
Basta ascoltare la tripletta iniziale con la rocciosa titletrack che da il nome all'album, la spettacolare ed anthemica  Bound for Glory ( ..and he knows he can never win/ he's just trying to lose a little more slowly ..questa si che è una melodia fuorilegge!), oppure Kingdom of the Lost, con il suo incedere folkeggiante che rimanda ai ricordi della natia Irlanda.
I testi di Warwick sono spettacolari e raccontano storie di vita borderline, cosi come il suo cantato che si avvicina al calore di Lynott.
La band gira davvero a mille, Scott Gorham snocciola riff granitici e superbi assoli che non possono non far felici coloro che sono cresciuti con l'hard rock sanguigno e vigoroso dei Seventies.
Kissin the Ground è melodica e ruffiana al punto giusto, mentre Someday Salvation mi ricorda i Thin Lizzy più scanzonati e festaioli.
Di Rimando viene esaltato il lato più cupo del songwriting con Hey Judas e la tetra e sinuosa Hodoo Voodoo, mentre il finale è affidato ad una lunga digressione in territori blues ( Gary Moore docet) con l'intensa Blues ain't so Bad.
In conclusione i BSR sono la logica evoluzione e prosecuzione di quel pezzo di storia chiamato Thin Lizzy, tanta è l'attitudine e le coordinate musicali che coinvolgono i musicisti. Ritengo giusto lo scegliere un nome nuovo e proseguire cosi una carriera parallela, ma sempre ben distinta.
Consigliato a chi vuole ascoltare dell'ottimo e sincero hard rock, che non inventerà nulla...ma fa stare dannatamente bene!!
www.blackstarriders.com
www.facebook.com/BlackStarRidersOfficial
spotify:album:2jtBDBKJG9UqjEpK9hOH6P






giovedì 4 luglio 2013

Carry On Rebels Bay (Indelirium Records 2012)












Social Distorsion...Rancid...Clash...The Gaslight Anthem...ecco se vi luccicano gli occhi solo a sentir nominare queste band, date un ascolto ai Rebels Bay, band italiana di recente formazione, ma ben rodata sui palchi nostrani ed europei, che con questo EP vuole ritagliarsi la sua fetta di pubblico nella scena punk rock attuale.
La band ha come base le rive del lago di Garda, ma la sua line up ha subito qualche stravolgimento con membri che provengono da svariate parti d'Italia e da Berlino. Dopo due tour in giro per il continente, la Indelirium Records licenzia il loro primo EP, sulla scia dei veterani One Trax Mind.
Senza troppi giri di parole in questa mezz'ora di musica troviamo un ottimo condensato di punk rock, sudore,tatuaggi e la giusta attitudine da strada che traspare dalle spettacolari liriche che ci raccontano storie di cuori spezzati, amicizie sincere e di vite in salita, perennemente in cerca del giusto riscatto.
"I've got scars deep inside my heart"... ecco l'opener di questo cd e con parole cosi forti si capisce subito che i ragazzi non scherzano e seguono la scia di Mike Ness e dei suoi Social D., tra l'altro citati  in My Friend and My Family ( I'm driving my car down the boulevard while the sun is going down/empty streets in front of me and the radio is playing an old Social D.) vero manifesto del pensiero della band.
Wild Hearts and Broken Bones è il pezzo scelto per il video promozionale, irresistibile anthem punk rock, mentre la successiva Billy's Legend, a metà tra Clash e Gaslight Anthem è una storia di riscatto e di speranza di chi non smette mai di inseguire i propri sogni.
California Smile è solare come unpomeriggio d'estate passato tra tavole da surf, spiagge e la ragazza dei tuoi sogni , mentre la conclusiva Rebel Love è una malinconica ballad dal ritmo folkeggiante che fa molto busker.
In definitiva questo Carry On è un ottimo biglietto da visita per una band che si è fatta le ossa sui palchi di mezza Europa e che non deluderà di certo i fan dei Social Distorsion e del punk più stradaiolo.
www.facebook.com/Rebelsbay
Indelirium Records
spotify:album:1dI3PG6lKHxkTHnmDS0eAf

mercoledì 19 giugno 2013

Resurrection Death SS (Lucifer Rising/Self 2013)











Poco meno di un mese fa recensii l'ultimo comeback discografico degli Extrema, band storica del metallo tricolore, ed ora ecco tra le mie mani il ritorno discografico di un'altro gruppo che ha scritto pagine importanti di storia: i Death SS!
Ho sempre seguito il percorso artistico della band di Steve Sylvester ed ero rimasto al loro Settimo ed ultimo Sigillo (The Seventh Seal, 2006) che decretava la fine di un percorso artistico ed esoterico che ha sempre caratterizzato le tematiche della band toscana.
Però il leader maximo Steve Sylvester non è certamente stato con le mani in mano in questi anni, scrivendo colonne sonore per film horror e partecipando come attore ad alcune serie televisive come L'Ispettore Coliandro o S.I.S.
Ed ecco che all'improvviso maturano i tempi per rimettere in pista il monicker Death SS, con una rinnovata line up ed una buona serie di pezzi, alcuni già editi perchè commissionati come soundtrack di film, ed altri invece inediti, tenuti nel cassetto e sviluppati per questa nuova "Resurrezione" musicale.
L'opener Revived parte col botto e ci presenta i Death SS in splendida forma con il loro sound inconfondibile: riff serrati molto industrial, un tappeto di effetti elettronici e l'inconfondibile voce malefica di Steve Sylvester, da sempre molto attento alle evoluzioni musicali che lo circondano, pronto a carpire il meglio e plasmarlo alla sua maniera per creare il sound giusto per la sua creatura.
Le tematiche occulte la fanno da padrone, soprattutto i rimandi ad Aleister Crowley,vera musa ispiratrice, soprattutto in The Crimson Shine, che rimanda al periodo di Panic, a mio avviso il capolavoro assoluto della band.
Nonostante il taglio moderno dei pezzi, troviamo molti riferimenti al metal più classico, grazie anche agli inserti di chitarra di Al DeNoble che tesse magnifiche melodie in The Darkest Night e Dyonisius che rievocano invece gli anni di Heavy Demons e Black Mass.
Continuando il viaggio all'interno di questo album ci imbattiamo nella traccia più "malata" ovvero Ogre's Lullaby, altra colonna sonora, dotata di un aurea davvero malefica per l'incedere lento e le atmosfere alla "Dario Argento"con la voce di Steve Sylvester che sembra un rantolo. Per certi aspetti sembra un improbabile accostamento tra Marylin Manson e certo black metal sperimentale.
La successiva Santa Muerte si rifà al culto in voga presso i narcos sudamericani ed è il preludio a quello che considero il vero capolavoro dell'intero album: The Song of Adoration, una lunga suite che fa confluire elementi doom, progressive e metal uniti ad elementi arabeggianti ed egizi.Un viaggio, quasi psichedelico, che merita svariati ascolti per carpire al meglio le innumerevoli sfumature presenti all'interno di esso: in questi nove minuti la band di Steve Sylvester ha davvero superato se stessa con una composizione maestosa.
A chiudere l'album troviamo la scanzonata Bad Luck, un rock and roll alla Alice Cooper, che vuole mandare a quel paese i detrattori della band che da anni si sono trincerati dietro la solita solfa che i Death SS portino sfiga...ecco servita la risposta!!
A conti fatti il ritorno discografico di Steve Sylvester è davvero gradito, vista l'alta qualità dei pezzi presenti sull'album, anche perchè non ho mai creduto fino in fondo alla morte discografica di questa band, visto che ha ancora parecchio da dare al suo pubblico. Evidentemente si era esaurito un percorso e serviva del tempo giusto per ricaricare le pile e tornare a cavalcare l'Apocalisse come raffigurato nella cover di questo album!
Bentornati!!!
WWW.DEATHSS.COM
www.facebook.com/deathssofficial
The Cursed Coven (Official Death SS Fan Club)
spotify:album:5TmUZi4bF400emQSh0HDO3



venerdì 7 giugno 2013

Raining Rock Jettblack ( Spinefarm Records/Universal 2013)












Negli ultimi anni, nel Regno Unito, è rinato un notevole interesse nei confronti di sonorità anni Settanta e Ottanta, legate al periodo d'oro dell'hard rock e del metal. A partire da reunion e festival fino al proliferare di numerose bands che hanno creato una nuova scena parallela ai trend musicali che vanno per la maggiore.
Tra questi ecco i Jettblack, giovane band proveniente da Wycombe con un esordio discografico nel 2011 e numerose apparizioni sui palchi dei maggiori festival targati UK.
Con questo Raining Rock arrivano a dare un seguito al loro fortunato debut, regalandoci una sfilza di ottime songs dotate di tiro e melodie a profusione che difficilmente possono lasciare indifferenti.
La title track è un anthem potente sulla scia di Judas Priest e Accept ( tra l' altro vi è anche una versione con special guest proprio Udo Dirchschneider) e va diretta dove deve colpire: nelle palle!
Anche la successiva Less Torque,More Rock affonda i denti nell'hair metal anni Ottanta con chitarre grintose e cori melodici che avrebbero fatto fortuna sui dischi di Warrant e Whitesnake.
Proprio la band del vecchio Coverdale viene presa come fonte d'ispirazione per Prison of Love, un' altra anthemica ballad che negli anni giusti avrebbe sfondato le rotation di radio e TV.
Tra i pezzi migliori Something About This Girl, con un chorus davvero catchy e la veloce System, dove i Nostri non esitano a pestar duro.
L'album si chiude con una ballad, The Sweet and the Brave, con ottime aperture melodiche e con arrangiamenti che la valorizzano ancora di più.
In sostanza i Jettblack non inventano nulla di nuovo, ma dimostrano di aver imparato la lezione e di saper scrivere ottime canzoni, ritagliandosi cosi il loro spazio  nella nuova scena hard rock inglese.
Da seguire!
I hear the drumming of thunder,
The rumble of rain,
A wail on the wind,
And the voice of pain,
So I step outside to find it's raining rock and roll

The air is getting heavy,
The metal has come to touch,
The sky turns a brutal black,
And breathing becomes too much,
So I step outside to find it's raining rock and roll,
So I step outside to find it's raining rock and roll,
Yeah
www.myspace.com/jettblackuk

www.facebook.com/jettblackuk
spotify:album:0TCHEW1rekATyL1U65SK6i


mercoledì 29 maggio 2013

The Seeds of Foolishness Extrema (Fuel Records 2013)

        
                                                                                                                                                                         
Se penso ad una band che ha rappresentato la mia gioventù costellata da concerti e pogate, ecco mi vengono in mente gli Extrema! La band milanese era sempre on the road, pronta a far divertire e spaccare sul palco, ha aperto per i Metallica sotto un diluvio universale nel 1993 al Delle Alpi di Torino e considero il loro album "Tension at the Seams" un capolavoro, che ad oggi, custodisco in vinile e non ha perso un oncia della sua carica.
Poi con gli anni le nostre strade si sono un pò allontanate, anche se dal vivo, quando capita occasione non me li faccio mancare,ma dal punto di vista discografico hanno vissuto alti e bassi ,che, comunque con orgoglio e passione hanno contraddistinto la loro lunga carriera.
E adesso mi trovo tra le mani questo The Seeds of Foolishness, un disco che li rilancia in pieno: un ambizioso concept sulle teorie degli Illuminati e sui complotti massonici che disegnano le trame occulte di questo mondo, ma anche un ottimo album di modern metal, curato alla perfezione con davvero tanta carne al fuoco e che cresce ascolto dopo ascolto.
Quello che salta subito all'orecchio è l'alto livello compositivo e la vasta gamma di riff e assoli che portano a canzoni strutturate ed elaborate, ma anche l'eterogeneità di suoni è davvero ad ampio raggio.
Si va dal classico "Pantera Sound" che spesso si trova tra le canzoni degli Extrema, diventando un pò il loro trademark fino al "Bay Area Thrash" di stampo classico, soprattutto in tracce come l'opener Between the Lines, tellurica e carica di riff, o come Pyre of Fire,da cui è stato girato il primo video.
Se i primi quindici minuti non vi hanno ancora fatto staccare la testa dal collo, ci penserà Ending Prophecies, davvero superba nei suoi continui cambi di atmosfere e passaggi degni dei migliori Meshuggah, mentre Again and Again mi ricorda i Faith No More più aggressivi, soprattutto nel cantato di GL Perotti, una vera sorpresa, che in questo disco supera se stesso per come sfrutta le sue abilità canore: dal growl allo scream fino ad un cantato melodico: Una grande prestazione che si estende a più livelli. Provare per credere, ascoltando Bones, un hard rock psichedelico che ricorda gli Alice in Chains più cupi.
Il finale è affidato a Moment of Truth, una ballad dal sapore southern che chiude alla perfezione questo album.
Ad ogni modo se certi paragoni sono inevitabili, è fuori dubbio che questo sia un disco maturo che si regge in piedi da solo: una rinascita per gli Extrema, che negli ultimi anni avevano avuto qualche appannamento, ma che hanno saputo tirar fuori dal loro cilindro un lavoro ambizioso ed al contempo fresco e carico di energia.
Anno 2013..è ancora tempo per il loro "fottuto massacro collettivo!!!"
P.S.
Il prossimo 25 giugno il "massacro" si compirà prima dei Motorhead a Milano!!
ww.extremateam.com
spotify:album:7767iviQHnBsOsjfODquqa





lunedì 8 aprile 2013

Above Mad Season (Columbia records 1994)












Se il 1991 aveva visto i Temple of the Dog evocare l'alba di una nuova era musicale e tenere a battesimo quello che fu comunemente chiamato "Grunge", i Mad Season ne pongono il sigillo ed il suo definitivo tramonto, grazie a questo unico, ma meraviglioso album datato 1995.
Ma partiamo dall'inizio, ovvero in quella Seattle, culla di geni musicali e di una scena prolifica con i fari dei mass media puntati addosso, dove un chitarrista, Mike McCready, transfugo dai Pearl jam post Vitalogy, un batterista, John Baker Saunders, turnista  ed un cantante, Layne Staley ,voce degli Alice in Chains si ritrovano in una clinica di disintossicazione dove, tra una rehab e l'altra decidono di jammare un pò , lasciando libero sfogo al loro genio creativo.
In poco tempo reclutano un bassista, Barret Martin, in forza agli Screeming Trees e danno un nome alla loro creatura: Mad Season, il nomignolo con cui si indica la stagione di "sbocciatura" di alcuni funghi allucinogeni.
In pochi mesi la band inizia ad esibirsi in alcuini locali della città, attirando su di sè le attenzioni dei fans e creando il giusto "buzz" affinchè venga proposto loro un contratto discografico, magari di una major, che cavalca cosi l' onda dell'entusiasmo.
Il risultato è Above, che vede aggiungersi all'ultimo momento, un altra celebrità "tossica" della città, Mark Lanegan, voce dei già citati Screeming Trees per la formazione finale del supergruppo grunge.
Uno dei punti di forza di questo album è la spontaneità, il non trovarsi di fronte a qualcosa di costruito a tavolino per vendere meglio il prodotto. I brani sono frutto di sessions tra grandi musicisti che veicolano nella loro arte i demoni interiori e provano così a scrollarsi di dosso il peso del successo delle loro band madri, per tornare a suonare in maniera spontanea come agli esordi della loro carriera.
E' soprattutto McCready che ha più spazio per il suo talento compositivo, spesso soffocato nei Pearl Jam dalle personalità forti e carismatiche di Gossard e Vedder. La sua chitarra ricama e cesella riff , crea grandi melodie, come nella ballata River of Deceit, la " Little Wing" dei Mad Season, triste ed uggiosa come una delle tante giornate di pioggia che si abbattono su Seattle. Anche Layne Staley mette da parte le sue urla disperate per un approccio più soft ed intimo, un cantare vero che però continua a buttare fuori veleno ( My pain is self chosen è forse la frase simbolo di questoalbum).
Ci sono tanti stili che si incrociano in Above,a partire da quel giro di basso iniziale che introduce Wake Up, un sinistro minimalismo che piano piano cresce, accompagnato dalla chitarra di McCready. libera di volare e dalla litania di Staley, traghettatore in questo " fiume di disagio"; si passa a echi più hard rock oriented  in I'm Above, figlia dei Black Sabbath più allucinati fino al blues di Artificial Red, lunga nenia pervasa da quel atmosfera junkie che solo quattro musicisti affetti da dipendenze possono creare.
Il senso di meravigliosa angoscia cresce sempre di più, ascolto dopo ascolto, e se X-Ray Mind e I Dont Know Aything ci riportano su territori già tracciati dagli Alice in Chains ( giusto per non abbandonare le radici) è Long Gone Day il capolavoro di questo disco: una crepuscolare ballata pregna di atmosfere noir( vi sono anche stacchi di sassofono), dove il duetto tra Staley e Lanegan raggiunge il suo apice, un morboso intreccio di disagio e disincantata resa dei conti nei confronti della vita.
See you all from time to time
Isn't it so strange
How far away we all are now
and i'm the only one who remembers that summer
Oh, I remember
Everyday each time the place was saved
The music that we made
The wind has carried all of that away

Lo strumentale November Hotel, ennesimo frutto di jam sessions in sala prove è il preludio alla concluisva All Alone che con il suo lapidario refrain "...We're All Alone...", lascia davvero poche speranze su come andrà a finire questo viaggio.
Eccolo qui, quindi, l'ultimo documento sonoro di quei fantastici anni, il sigillo che chiuderà  un  epoca che ha visto forse l'ultima rivoluzione rock vera e propria, l'ultimo e angoscioso canto di libertà di una scena, quella di Seattle che si disgregherà definitivamente lacerata dai mass media, dalla moda e purtroppo dall'eroina.
John Baker Saunders morirà nel 1999..
Layne Staley nel 2002...
https://www.facebook.com/MadSeason
spotify:album:1B9Yu846vE9uPFzFA6hHBF































giovedì 4 aprile 2013

Dobermann (Doghouse Music 2012/Autoproduzione)













Prendete un quarto di AC/DC, un quarto di Motorhead d'annata, un quarto di Ramones ed un quarto di Sex Pistols, mescolate bene e decorate con della sana ignoranza da strada, maturata  con anni  di esperienza rock and roll sulle spalle: ecco pronti i Dobermann, power trio da Torino che si presenta con questo primo, omonimo album che non lascia prigionieri.
Debutto si, ma chi sta dietro al monicker è attivo da parecchi anni e vive e respira strada e rock, per questo il disco in questione non è uno di quei prodotti costruiti a tavolino, ma ringhia e morde con ferocia, proprio come il dobermann in copertina.
Le dieci tracce in questione ( più intro) hanno un tiro giusto e coinvolgente, complice anche la produzione, affidata ai Finnvox Studios di Helsinki, mecca del suono per i rockers dei primi Anni Duemila. Ma si sa, la tecnologia aiuta, ma se la sostanza manca può fare davvero poco: fortunatamente qui di sostanza e attitudine ce ne è davvero tanta:  punk fino al midollo e tanta tecnica al servizo di una manciata di canzoni che chiedono solo di essere scoperte e cantate.
La peculiarità della band è il cantato in italiano, scelta che può essere ostica, ma alla luce dei fatti dà ragione, visto che le tracce crescono ascolto dopo ascolto, e se quello che conta all'inizio è solo l'impatto, non vi sembrerà strano iniziare a canticchiare i ritornelli di questo album.
Tra gli highlight c'è sicuramente l'aggressiva ma melodica Rosso e la "punk rock song" Mi  Sono Trasformato in un Robot, inno all' alienazione della società odierna fedele al motto -Nasci, Consuma, Crepa-.
Davvero azzeccata la cover in italiano di Antisociale ( A Testa Bassa) che i metallari con qualche primavera in più  alle spalle la ricorderanno fatta dagli Anthrax ai tempi di State of Euphoria.
Con Tutto Ok si sbatte contro un muro di suono potentissimo per una canzone che elargisce calci in culo talmente suona piena e potente.  Da segnalare la versione in inglese, Fear of the UK, messa come bonus finale, un perfetto mix punk'n' roll.
Il finale è per il manifesto della band, Quando l'Asfalto Grida: colate di metallo fuso che si sciolgono su riff  quadrati per una vera e propria dichiarazione di intenti
Ti sembra una sfida quando l'asfalto grida
è come un gioco con i colori del fuoco
raccogli la sfida quando l'asfalto grida
randagio che fa da detonatore per la tua libertà
I Dobermann sono questi, niente di più, niente di meno: lontani dai facili intellettualismi, ma vicini alla vera vita on the road, pronti a mettere a ferro e fuoco i palchi dove vengono chiamati ad esibirsi. Cercate sul loro sito la data più vicina a voi e andate a vederli. Non ve ne pentirete!
http://www.dobermannweb.net/
https://www.facebook.com/dobermann666