You, you are so special
You have the talent to make me feel like dirt
And you, you use your talent to dig me under
And cover me with dirt
(Dirt)
Non si può definire Dirt come un semplice pezzo della discografia degli Alice in Chains, perchè oltre ad esserne il capolavoro assoluto è anche il manifesto del disagio interiore di una delle icone massime degli Anni Novanta: Layne Staley.
L'ascolto di questo album è un lungo viaggio nella tossicodipendenza, una discesa verso l'oblio più cupo in cui Layne ci accompagna per mano, descrivendo i suoi tormenti alterati dall'inferno dell'eroina con una lucidità ed una disperazione disarmante.
E' il 1992 quando esce nei negozi Dirt che, trainato dal singolo Would (tra l'altro già presente nella soundtrack del film Singles) riesce a scalare le classifiche e portare la band di Seattle sotto le luci della ribalta ed imbarcarsi per tour estesi come headliner.
La miscela tra hard rock, cromature metalliche e psichedelia è esplosiva, Jerry Cantrell viene riconosciuto come uno tra i migliori chitarristi in circolazione e la band stessa verrà apprezzata oltre che dai fans dell'alternative, anche dai metallari più intransigenti, fattore che permetterà di accompagnare le rockstar Metallica in tour.
Ma la voce di Layne Staley e i suoi disperati deliri risulteranno il valore aggiunto che regalerà "poesia maledetta" a questo album!
L'apertura è affidata a Them Bones con un'urlo disperato, quel "Primal Scream" che risveglia l'ascoltatore e lo prende per mano in questa discesa decadente, per poi passare al cantato folle di Dam that River ed alle sonorità liquide e psichedeliche di Rain When I Die.
Con Sickman, introdotta da echi tribali inizia la tetra descrizione del calvario personale di Staley
I can feel the wheel, but I can't steer
When my thoughts become my biggest fear
Ah, what's the difference, I'll die
In this sick world of mine
Sembra impossibile cambiare rotta, in queste poche parole vengono messe a nudo tutte le paure e la consapevolezza di essere in un tunnel senza fine.
Ascoltando e rileggendo le parole di Staley ho sempre pensato che, in cuor suo, lui fosse consapevole che non ci sarebbe mai stata una via d'uscita: In molti passaggi la sua è una resa incondizionata al demone dell'eroina, una spiazzante e lucida riflessione di chi si autocondanna a morte.
La meravigliosa, ma altrettanto struggente ballad Down in a Hole non lascia dubbi riguardo all'animo depresso e tormentato di quest'uomo
Down in a hole and I don't know if I can be saved
See my heart I decorate it like a grave
Well you don't understand who they
Thought I was supposed to be
Look at me now I'm a man
Who won't let himself be
Down in a hole, feelin so small
Down in a hole, losin my soul
I'd like to fly,
But my wings have been so denied
Anche le successive JunkHead e Godsmack non lasciano dubbi sulle abitudini tossiche del cantante, anche se in queste due canzoni viene dato più risalto al piacere che da l'estasi onirica delle droghe. ( Godsmack nello slang è il termine che si usa per descrivere la botta iniziale che da l'eroina, letterlamente "il bacio di Dio").
What in God's name have you done?
Stick your arm for some real fun
So your sickness weighs a ton
And God's name is smack for some
L'altra ballad presente. The Rooster, scritta da Jerry Cantrell, si discosta da queste tematiche ed è una dedica al padre, veterano della guerra in Vietnam, il quale, agli occhi del figlio, porta dentro di sè le orribili visioni patite in quegli anni.
Walkin' tall machine gun man
They spit on me in my home land
Gloria sent me pictures of my boy
Got my pills 'gainst mosquito death
My buddy's breathin' his dyin' breath
Oh god please won't you help me make it through
Un disco pressocchè perfetto, un manifesto sonoro, ma soprattutto il capolavoro di una band che si è bruciata in fretta, ma ha senza dubbio lasciato un peso fondamentale nella scena rock degli Anni Novanta, creando un suono ed un immagine forte che è entrata di diritto nella storia.
www.aliceinchains.com
www.myspace.com/aliceinchains
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