Nel corso del 2011 abbiamo assisitito ad un vero e proprio revival di sonorità anni Settanta, soprattutto da parte di bands provenienti dal continente europeo: dagli inglesi Rival Sons e Gentleman's Pistols fino ai dirmipettai (Irlanda) The Answer, passando per i Black Country Communion di sua maestà Glenn Hughes. Ma tra i nomi che più mi hanno colpito vi propongo i Graveyard, giovanissima band svedese che, con questo secondo album, merita di essere considerata come una delle rivelazioni dell'anno appena conclusosi.
Prendete Deep Purple, Uriah Heep, Black Sabbath, Led Zeppelin, mescolate a fuoco lento con dell'ottimo blues ed ecco creata la ricetta di questi Graveyard. Ah Dimenticavo: tanta sincera passione ed un amore smisurato per quelle sonorità retrò che non fanno mai scadere il prodotto in un mero esercizio anacronistico, ma trasportano l'ascoltatore in un epoca lontana, agli albori della musica rock e lo tengono inchiodato dall'inizio alla fine di questo album.
L'opener Ain't Fit to Live Here è la classica song d'apertura che non deve fare prigionieri sulla scia di una Burn o di una Communication Breakdown, con il cantante Joakim Nilsson che sfoggia il più classico dei falsetti. Ma il meglio arriva con le successive No Good, Mr Holden, un sulfureo hard-blues da Sabba Nero e la titletrack del disco ( a proposito..Hilsingen è il quartiere popoloso di Goteborg da dove arrivano questi ragazzi), dalle tinte più psichedeliche e stoner.
La produzione in analogico ( manna dal cielo in questi tempi di freddo digitale) accentua ancora di più le calde atmosfere di questo album, conferendo colore ed una vera atmosfera vintage ai brani; prendete quel piccolo capolavoro di Uncomfortably Numb, che di pinkfloydiano ha ben poco, ma sembra uscita da una session tra Janis Joplin ed i Led Zeppelin se mai avessero potuto incontrarsi!
La strumentale Longing, dagli echi morriconiani ( considero il Nostro Morricone un precursore dello stoner per le sue soundtracks spaghetti-western!) è posta da cuscinetto prima delle cavalcate hard blues di Ungrateful for the Dead e RSS che ci conducono alla finale The Siren, una lunga e sofferta canzone giocata su parti lente ed un infuocato chorus sostenuto da un roboante drumming e pregevoli assoli!
Tirando le conclusioni di questa recensione, credo che i Graveyard, con questo album abbiano realizzato una delle pagine musicali più promettenti del 2011, senza inventare nulla di nuovo e senza issarsi a salvatori del rock and roll. Se cercate un' oretta scarsa di semplice ed onesto hard rock d'annata, Hilsingen Blues è un disco che fa al caso vostro e sono sicuro che supererà anche la dura prova del tempo, non finendo sotto tre dita di povere come quella pila di cd che tenete sugli scaffali. L'umiltà e l'onesta pagano sempre!
P.S. Se dovessi dare un voto a questo disco, lo alzerei di mezzo punto per la splendida cover, only for Vynil Lovers
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TeePee Records (Label di Goteborg per cui hanno debuttato i Graveyard)
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