Se i punti di riferimento sono sempre stati il combat punk di Clash o Stiff Little Fingers ed il folk di Pogues e Dubliners ( senza dimenticare una vena cantautorale di tradizione italiana), ora la loro ispirazione vola fino alle lande sperdute americane, quelle desolate terre di confine, teatri di conflitti sociali e miserie che hanno ispirato i più grandi cantautori d'oltreoceano e , quando ascolterete l'iniziale No More Work, non stupitevi se vedrete materializzarsi il "fantasma" di Tom Joad, perchè è proprio li che le Mosche, con questo nuovo capitolo della loro discografia vogliono trasportarvi.
Springsteen, Steve Earle, Woody Guthrie e Ryan Bingham, sono questi i primi nomi che mi vengono in mente ascoltando queste tracce, cosi scarne, ma tanto intense, grazie ad un songwriting sempre più maturo, ad una voce calda e a quell'arma in più che è il sassofono, ormai marchio di fabbrica della band, che, oltre a rendere la loro proposta originale, conferisce dei toni crepuscolari alle canzoni, rendendole intense e vibranti come un tramonto sul Grand Canyon.
L'ennesima gemma ci viene regalata con Far from Home (grandparent's home), malinconica e struggente, con l'unica concessione elettrica data dall'assolo di chitarra come ciliegina sulla torta: l'ennesima perla nella discografia di questa band che da il commiato con Witch of the Day at the End of His World che sembra uscita dalla penna e dalla chitarra di Ryan Bingham.
Un'altra grande prova per questa band, che riesce sempre a reinventare il suo stile, regalando miriadi di sfaccettature alla sua proposta senza snaturarla o porre limiti alle influenze musicali.
Ed il viaggio prosegue, dalle scogliere di Scozia ed Irlanda fino alle sconfinate terre di frontiera americana!
www.moschedivellutogrigio.com
Facebook Page
Spotify
Nessun commento:
Posta un commento