martedì 29 gennaio 2013

Unprofessional Performances Sick Boys (autoprodotto 2012)












Nel sagace e sarcastico umorismo tutto toscano, i Sick Boys, provenienti da Grosseto, definiscono il loro stile con il termine di "Gangsta Punk" ovvero " un garbato punk rock assolutamente non professionale".
Etichette a parte, questo  è il primo EP per questa band, attiva già da diversi anni come Tributo ai Social Distorsion e che finalmente vuole mettersi in mostra con musica propria.
Lodevole iniziativa questa che a conti fatti ha dato i suoi buoni frutti: i cinque pezzi presenti sul cd, se da una parte sono debitori del sound della band che ha maggiormente influenzato i gusti musicali dei Sick Boys, dall'altra mostrano buone idee e tanta qualità che sicuramente fanno ben sperare per il futuro.
Sfido chiunque, dopo pochi ascolti, a non canticchiare il ritornello di Contradictions of my Town, tanto melodica, tanto piccata nello scagliarsi contro la triste realtà del vivere in provincia e della fatica di poter trovare un buco per suonare dal vivo in questo Paese.
Le successive Lovin' me e Pull Your Socks Up Boy sono molto Mike Ness-oriented anche se lo stile della band riesce sempre ad affiorare, mentre la conclusiva  Unprofessional Performances affonda i denti nel vecchio punk di clashiana memoria.
Diciamo che le basi sono gettate e questo EP è un ottimo trampolino di lancio sia per farsi conoscere  che per migliorare e creare uno stile più personale che sicuramente verrà fuori continuando su questa strada!
Non perdeteli dal vivo!!!
Sick Boys-Facebook

mercoledì 23 gennaio 2013

Victoria! The Downtown Struts (PiratePress Records2012)












Se l'anno scorso rimasi folgorato dai Nothington, è ancora la scena di Chicago a regalarmi grandi sorprese con questo album dei The Downtown Struts che, per quel che mi riguarda sono la rivelazione dell'anno appena conclusosi.
Avevo sentito parlare di questi ragazzi, complici un paio di tappe italiane del loro tour europeo di supporto a Bouncing Souls prima e Street Dogs dopo, ed eccomi quindi entrare in possesso dellla loro ultima fatica che scorre via davvero bene nell'abbondante mezz'ora di durata.
Sicuramente il sound è influenzato dai sopracitati Nothington, soprattutto nell' alternanza del cantato a due voci, anche se sono più leggerini rispetto ai loro concittadini. L'ombra dei Rancid, soprattutto quelli di "...and Out Comes the Wolves" fa spesso capolino, ma nonostante i rimandi del caso il suono dei TDS scorre via fresco, veloce e melodico.
I ragazzi ci sanno fare ed il singolo Anchors è un buon antipasto per capire le coordinate della band: linee melodiche di chitarra che si rincorrono e ritornelli che si ficcano in testa dopo pochi ascolti, pochi accordi in piena etica punk rock, ma tanta melodia di fondo che fa di Victoria un disco irresisitibile.
Back to N.Y. e Tim sono dei piccoli affreschi di vita metropolitana, delle "Postcards" ( come il titolo del secondo brano della tracklist) della loro città che regala momenti di ispirazione, spesso venata da una forte malinconia ed a un senso di alienazione dalla società.
"Take a breath, set the record straight
 My only vice is a quick escape from
 Anything that keeps me from
 Leaving my Home"
queste lyrics sono tratte da Rogues, forse uno dei pezzi più "nothingtoniani" dell'album tanto è aggressiva e potente la carica che emana questa canzone.
Uno dei picchi di questo album è senza dubbio Rocca Ave., una ballata elettrica che paga dazio ai Social Distorsion ed alla tradizione americana, impreziosito anche da un Hammond come sottofondo, strumento alquanto atipico per una punk band, ma che in questo caso allarga parecchio gli orizzonti musicali dei The Downtown Struts.
Per tutti quelli che adorano il punk veloce e stradaiolo direi che questo è un ascolto obbligato, anche perchè questi ragazzi hanno già ottenuto parecchi riscontri negli ultimi mesi e non mi stupirei, tra qualche anno,di ritrovarli tra le punte di diamante della scena punk rock mondiale.
https://www.facebook.com/thedowntownstruts
http://www.downtownstruts.com/
http://www.myspace.com/thedowntownstruts



lunedì 14 gennaio 2013

Live in Paris The Pogues (Universal 2012)

Qualche anno fa ebbi la fortuna ( o sfortuna..dipende dai casi) di assistere all'unica data italiana dei Pogues, in un afosa sera di giugno, rinchiuso dentro il PalaTrussardi-Sharp-Vobis di Milano . Devo dire che l'attesa spasmodica di vedere una delle mie band preferite fu vanificata da una prestazione alquanto scadente del gruppo irlandese, con lunghe pause, errori e cadute di stile, che, se da una parte mi fecero sorridere, dall'altra delusero non poco le aspettative di chi li considerava un eccellente macchina live.
Pochi mesi fa ecco uscire questo appetitoso cofanetto che raccoglie gli sforzi per celebrare una carriera trentennale, condizionata da numerosi alti e, purtroppo bassi, ma che ha reso questa band uno status symbol per tutto il movimento punk-folk di matrice irlandese che negli ultimi anni ha preso piede un pò ovunque.
Parto subito col dire che il box è formato da due Cd che riprendono l'esibizione live all 'Olympia Theatre di Parigi, risalente allo scorso settembre e da altrettanti DVD che ci ripropongono il concerto integrale più alcuni documentari di emittenti francesi risalenti alla metà degli Anni Ottanta, sicuramente il climax artistico e commerciale della band.
Che dire..il prezzo ne vale tutto e mi ha fatto dimenticare quella pietosa esibizione di qualche anno fa a Milano. Certo la tecnologia aiuta parecchio con ottime riprese e i suoni "addomesticati", ma su quel palco ho ritrovato una band in forma strepitosa, sicuramente migliorata  e più coesa dopo il lungo periodo da separati. Il leader Shane MacGowan paga il dazio degli anni e degli abusi, ma non sarebbe lui senza la sua camminata traballante, la sua voce sbiascicata e l'eterna sigaretta accesa tra le dita mentre impugna il microfono. Ma sul palco c'è e lascia vedere tutto il suo carisma lasciandosi andare ad interpretazioni maestose dei classici della band. Anche il resto dei Pogues è ben rodato, a partire dall'altra anima della band, quello Spider Stacy che provò a far andare avanti la band pur senza il suo leader alcolico e qui, canta un paio di pezzi con la sua inconfondibile voce roca.
I classici della band ci sono tutti e non sto a dire cosa è venuto bene e cosa no...godetevi il concerto nella sua interezza, lasciandovi trasportare dalla magia della poesia alcolica del gruppo irlandese, sognando di essere li, in mezzo al pubblico a pogare e sudare sotto il palco, ed  anchese, Kirsty Maccoll non c'è più, vi ritroverete commossi nel vedere il balletto tra Shane ed Ella Finer (la figlia di Jem Finer, banjo e mandolino) sulle note finali di Fairytale of New York.
E a proposito di finale...come non chiudere in bellezza con Fiesta dove tra coriandoli e stelle filanti si celebra la chiusura di una reunion epocale in un mix di bagordi alcolici in salsa spagnoleggiante/irlandese.
Ancora una volta grazie ...alzo l'ennesima pinta in vostro onore al grido di Pogue Mahone!!!!!!
www.pogues.com
spotify:album:1aswgwvlGy5JWBhodmCRoq













mercoledì 2 gennaio 2013

Rage Against the Machine (Sony Records 1992)












Uno dei debutti più folgoranti della storia del rock, un disco che catapultò una band misconosciuta in vetta alle classifiche di mezzo mondo, trasformandola in portabandiera della rivolta politica e culturale che avvenne anni dopo.
Ma andiamo con ordine: siamo agli inizi degli Anni Novanta ed il fenomeno grunge sta per esplodere in tutto il mondo. Di conseguenza anche l'alternative rock viene estratto dai sottoboschi musicali per essere manipolato da MTV e venire dato in pasto alla cosiddetta "X  Generation".
Il mondo politico non vede gravi scossoni, si sta ancora riprendendo dalla definitiva caduta del comunismo pochi anni prima e dalla prima Guerra del Golfo di Bush senior. L'episodio che però scatena le folle e fa il giro del globo è il pestaggio da parte di alcuni poliziotti, a Los Angeles, di un ragazzo di colore, tale Rodney King, che viene massacrato, umiliato ed ucciso senza giustificata causa. Le immagini fanno il giro degli States e ben presto si scatena una rivolta che metterà a ferro e fuoco le maggiori metropoli americane con omicidi, furti, saccheggi ed inevitabili arresti.
Sembra strano ma tutta questa esplosione di rabbia viene rinchiusa nei pochi minuti di una canzone dal titolo Killing in the Name of ed il gruppo che la interpreta è sconosciuto ai più ed ha un nome curioso quanto diretto: Rage Against the Machine.
Il video in questione fa il giro delle emittenti televisive e , nonostante la censura per il linguaggio esplicito ( si conteranno almeno una ventina di "fuck") va in heavy rotation e per questa nuova realtà underground si apre la strada per il successo.
La band  è formata da un cantante di origini ispaniche, Zack de La Rocha, autore di quasi tutti i testi, veri trattati di rivolta e lotta politica, il chitarrista Tom Morello, poliedrico e sperimentatore di sonorità nuove, una sezione ritmica di fuoco con al basso Timmy G. e Brad Wilk dietro le pelli.
Detto questo si può partire ad analizzare questo folgorante debut che vede un "crossover" di stili che va dai Led Zeppelin all'hardcore militante di Minor Threat e Fugazi per passare alla dialettica hip hop di Public Enemy e Run DMC.
L'opener Bombtrack è una killer song ( tra l'altro il giro iniziale di basso, qui come in altre canzoni mi ricorda vagamente le colonne sonore di alcuni "poliziotteschi" italiani degli Anni Settanta), cosi come Bullet in the Head, schierata denuncia riguardante il possesso delle armi in America e, della facilità con cui si continua ad usarle.
I give a shout out to the living dead
Who stood and watched as the feds cold centralized
So serene on the screen
You were mesmerised
Cellular phones soundin' a death tone
Corporations cold
Turn ya to stone before ya realise
They load the clip in omnicolour
Said they pack the 9, they fire it at prime time
Sleeping gas, every home was like Alcatraz
And mutha fuckas lost their minds

L'oscura Settle for Nothing è un'amara riflessione sulle condizione carcerarie amerciane, mentre Take the Power Back è il manifesto del pensiero della band, una presa di coscienza politica e sociale che vuole riportare il potere alle masse e gettare luce sulle minoranze, troppe, che si accalcano nei ghetti delle metropoli.
So called facts are fraud
They want us to allege and pledge
And bow down to their God
Lost the culture, the culture lost
Spun our minds and through time
Ignorance has taken over
Yo, we gotta take the power back!
Bam! Here's the plan
Motherfuck Uncle Sam
Step back, I know who I am
Raise up your ear, I'll drop the style and clear
It's the beats and the lyrics they fear
The rage is relentless
We need a movement with a quickness
You are the witness of change
And to counteract
We gotta take the power back

Yeah, we gotta take the power back
Come on, come on!
We gotta take the power back

 Il tiro che ha ogni singolo pezzo è formidabile: tecnica innovativa, soprattutto da parte di Morello che usa la sua chitarra in maniera straordinaria, riuscendo a tirar fuori incredibili. All'epoca venne paragonato ad Hendrix per la capacità di utilizzare suoni mai sentiti prima ed essere precursore nel suo genere, proprio come lo fu il chitarrista di  Seattle.
Anche la sezione ritmica non è da meno: il basso di Timmy C. non fa solo da cuscino tra batteria e chitarre, ma crea vere e proprie melodie che spesso fungono da intro per dare più enfasi alle canzoni. Brad Wilk invece è batterista dinamico e con un formidabile senso del ritmo, capace di coniugare perfettamente più stili, dall'hard rock classico fino a quelli più sincopati del funky o dell'hip pop.
Ed infine  Zack de la Rocha, Moderno "Che Guevara" che sputa veleno nel suo microfono e si scaglia apertamente contro il sistema a difesa di un ideale barricadero che negli anni a venire gli porterà svariate denunce ed arresti.
Dopo il successo di questo debutto i RATM proseguirono al loro carriera con altri tre dischi, senza ottenere quel responso di massa che ebbero con Killing in the name of, anche se portarono avanti le loro battaglie con tutti i mezzi a disposizione.
Aldilà del pensiero politico( che per chi lo seguì è stato un punto di svolta non indifferente), quello che rimane è un grande album, una colonna portante degli Anni Novanta, l'ennesimo tassello, fondamentale per capire il crossover che poi scaturì nel decennio successivo.
WWW.RATM.COM
www.myspace.com/ratm
https://www.facebook.com/RATM?rf=104073202962718
spotify:album:4Io5vWtmV1rFj4yirKb4y4