domenica 28 ottobre 2012

'Till the Day I Die The Backseat Boogie (Autoprodotto 2010)












Un luogo comune legato alla Brianza è  che i suoi abitanti pensino solamente a lavorare e fare soldi, tanto da renderla una delle zone più floride dal punto di vista economico, ma devo dire che da qualche anno a questa parte la "Briansa" sta regalando anche una buona scena musicale underground, fatta da band che collaborano tra di loro e molti concerti davvero interessanti. Si passa dal punkrock dei Lechees fino al surf dei Wavers  attraverso una miriade di bands valide come appunto questi Backseat Boogie.
La band di Seregno ci propone, in questo primo album totalmente autoprodotto, una mezzora di ottimo rock and roll di annata con brani veloci, dinamici e ben strutturati.
L'attitudine ed il suono sono Vintage al 100% e brani come la titletrack o You Gotta Make Her Laugh sono coinvolgenti soprattutto dal vivo, realtà in cui la band riesce a dare il meglio di se.
Le influenze sono sicuramente legate al rockabilly degli anni Cinquanta, ma complice anche l'utilizzo del banjo, la band affonda le sue radici anche nell'area roots e bluegrass, creando un ibrido davvero spettacolare.
In Zombieville c'è tempo anche per le atmosfere psychobilly con qualche richiamo ai Meteors ma il resto dei brani scorre via veloce con i ritornelli che ti si stampano in testa fin dal primo ascolto.
Ecco quindi un altra bella realtà locale che merita di essere seguita e supportata in pieno e che va a rinfoltire le file della scena rock and roll "made in Brianza"!
www.myspace.com/thebackseatboogie

https://www.facebook.com/pages/BACKSEAT-BOOGIE

giovedì 11 ottobre 2012

Dirt Alice in Chains (Columbia Records 1992)












You, you are so special
You have the talent to make me feel like dirt
And you, you use your talent to dig me under
And cover me with dirt

(Dirt)
 Non si può definire Dirt come un semplice pezzo della discografia degli Alice in Chains, perchè oltre ad esserne il capolavoro assoluto è anche il manifesto del disagio interiore di una delle icone massime degli Anni Novanta: Layne Staley.
L'ascolto di questo album è un lungo viaggio nella tossicodipendenza, una discesa verso l'oblio più cupo in cui Layne ci accompagna per mano, descrivendo i suoi tormenti alterati dall'inferno dell'eroina con una lucidità ed una disperazione disarmante.
E' il 1992 quando esce nei negozi Dirt che, trainato dal singolo Would (tra l'altro già presente nella soundtrack del film Singles) riesce a scalare le classifiche e portare la band di Seattle sotto le luci della ribalta ed imbarcarsi per tour estesi come headliner.
La miscela tra hard rock, cromature metalliche e psichedelia è esplosiva, Jerry Cantrell viene riconosciuto come uno tra i migliori chitarristi in circolazione e la band stessa verrà apprezzata oltre che dai fans dell'alternative, anche dai metallari più intransigenti, fattore che permetterà di accompagnare le rockstar Metallica in tour.
Ma la voce di Layne Staley e i suoi disperati deliri risulteranno il valore aggiunto che regalerà "poesia maledetta" a questo album!
L'apertura è affidata a Them Bones con un'urlo disperato, quel "Primal Scream" che risveglia l'ascoltatore e lo prende per mano in questa  discesa decadente, per poi passare al cantato folle di Dam that River ed alle sonorità liquide e  psichedeliche di Rain When I Die.
Con Sickman, introdotta da echi tribali inizia la tetra descrizione del calvario personale di Staley

I can feel the wheel, but I can't steer
When my thoughts become my biggest fear

Ah, what's the difference, I'll die

In this sick world of mine

Sembra impossibile cambiare rotta, in queste poche parole vengono messe a nudo tutte le paure e la consapevolezza di essere in un tunnel senza fine.
Ascoltando e rileggendo le parole di Staley ho sempre pensato che, in cuor suo, lui fosse consapevole che non ci sarebbe mai stata una via d'uscita: In molti passaggi la sua è una resa incondizionata al demone dell'eroina, una spiazzante e lucida riflessione di chi si autocondanna a morte.
 La meravigliosa, ma altrettanto struggente ballad Down in a Hole non lascia dubbi riguardo all'animo depresso e tormentato di quest'uomo
Down in a hole and I don't know if I can be saved
See my heart I decorate it like a grave
Well you don't understand who they
Thought I was supposed to be
Look at me now I'm a man
Who won't let himself be

Down in a hole, feelin so small

Down in a hole, losin my soul
I'd like to fly,
But my wings have been so denied

Anche le successive  JunkHead e Godsmack non lasciano dubbi sulle abitudini tossiche del cantante, anche se in queste due canzoni viene dato più risalto al piacere che da l'estasi onirica delle droghe. ( Godsmack nello slang è il termine che si usa per descrivere la botta iniziale che da l'eroina, letterlamente  "il bacio di Dio").
 What in God's name have you done?
Stick your arm for some real fun
So your sickness weighs a ton
And God's name is smack for some

L'altra ballad presente. The Rooster, scritta da Jerry Cantrell, si discosta da queste tematiche ed è una dedica al padre, veterano della guerra in Vietnam, il quale, agli occhi del figlio, porta dentro di sè le orribili visioni patite in quegli anni.
Walkin' tall machine gun man
They spit on me in my home land
Gloria sent me pictures of my boy
Got my pills 'gainst mosquito death
My buddy's breathin' his dyin' breath
Oh god please won't you help me make it through

Un disco pressocchè perfetto, un manifesto sonoro, ma soprattutto il capolavoro di una band che si è bruciata in fretta, ma ha senza dubbio lasciato un peso fondamentale nella scena rock degli Anni Novanta, creando un suono ed un immagine forte che è entrata di diritto nella storia.
www.aliceinchains.com 
www.myspace.com/aliceinchains